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20 agosto, 2021

L'ultimo bacio

"Mille violini suonati dal vento
L'ultimo abbraccio, mia amata bambina
Nel tenue ricordo di una pioggia d'argento
Il senso spietato di un non ritorno"

- L'ultimo bacio, Carmen Consoli

 

È cosi strano tornare a scrivere dopo quasi un anno di pausa che credo di aver dimenticato come si faccia, però ho così tanto bisogno di raccontare questa piccola parentesi di paradiso da avere la forza di riprendere carta e penna. Quanto è bello tornare ad avere l'energia di fare qualcosa dopo un anno di completa apatia? Quanto è strano rimettere insieme i pezzi e ricominciare a vivere senza i pesi del passato? Quanto è prezioso incontrare qualcuno che ti fa scoprire una nuova te che credevi tanto di conoscere e che invece si è rivelata una completa estranea?
Quando due settimane fa preparavo di fretta la valigia per partire non credevo di certo di poter vivere così intensamente quella che pensavo sarebbe stata una vacanza di riposo e tranquillità con una delle mie più care amiche, e che invece mi ha ridato quella spensieratezza che non avevo più dai primi anni di liceo, prima che certi pesi mi si caricassero sulle spalle rallentando la mia corsa verso la felicità. Non potevo sapere che avrei riso a crepapelle come ormai non facevo da quasi un paio d'anni grazie a delle persone completamente sconosciute e che nel giro di pochissimo tempo hanno conquistato il mio piccolo cuore a volte fin troppo freddo per essere così giovane. E di certo non avevo previsto di condividere il mio tempo con un uomo -non mi ritenevo pronta per rituffarmi in una nuova storia- e soprattutto non pensavo davvero che sarei mai riuscita a lasciarmi andare così tanto in così poco tempo. Chi sono io e cosa ne è stato della ragazzina paranoica che non prova fiducia per nessuno?
Ho passato i primi due giorni a guardarlo lavorare al chiosco mentre prendevo il sole sdraiata comodamente sul mio lettino facendo attenzione a non essere scoperta, e scherzavo con Marghe dicendo che giocava a fare il gioco dell'indifferenza visto il suo apparente disinteresse. Che invece poi disinteresse non era. Ci guardavamo e ci studiavamo piano piano, prendendo le misure uno dello spazio dell'altro, e non pensavo realmente che uno come lui potesse anche solo guardarmi. Era troppo bello, troppo grande, troppo schivo, troppo impegnato e chiuso nel suo mondo. Lo osservavo in silenzio perché non sapevo dove trovare uno spiraglio per entrare di soppiatto nella sua mente, e così ho aspettato lo facesse lui volendo rispettare i suoi tempi. E così ha fatto.
Venerdì mi sono alzata alle sei perché i pensieri non mi facevano dormire, così mi sono vestita di fretta e sono scesa in spiaggia a godermi l'alba e prenotare i lettini prima che finissero, e ammetto di essermi divertita molto nonostante l'orario visto il modo in cui lo osservavo discutere con le vecchiette esigenti che volevano scegliere i loro ombrelloni. Ero convinta sarebbe stata una giornata no visto che lui per primo l'aveva definita "una mattina da entrambi i piedi sbagliati" in cui era meglio evitarlo per non essere maltrattati, e invece proprio in quel momento mi ha parlato per la prima volta chiedendomi se avessi freddo facendo una battuta acida sul comprarmi una coperta che mi ha fatto ridere di cuore, così come a fine giornata il ritirarmi il lettino alle sette e ventinove invece che a mezza, giusto per farmi un dispetto. Dispetti che poi sarebbero diventati quotidianità, trasformandoci in due bambini nonostante entrambi non lo fossimo più da un pezzo, soprattutto lui.
E poi la sera. Dio quella sera. L'ultima volta che ho fatto così tante follie e esperienze in una sola notte nemmeno me lo ricordo, ma solo da ragazzina riuscivo ad essere così audace e spericolata. Mi ero dimenticata come ci si sentisse vivi a fare cazzate. Mi ero dimenticata tante, troppe cose.
Quando sono arrivata al chiosco e l'ho visto fuori a fumare avevo già capito che mi avesse puntato e ho avuto brividi lungo la schiena per tutto il bagnasciuga, non aspettandomi di certo un cambio di rotta così veloce. Avevamo iniziato a parlarci da solo un giorno eppure nessuno dei due sembrava avere intenzione di nascondere l'attrazione e l'interesse reciproci, come se la vergogna non fosse nemmeno contemplata. Come se vivessimo in un mondo nostro in cui le convenzioni non hanno forma. Ci siamo guardati e ci siamo piaciuti e ammetto che è davvero bello quando le cose sono così semplici, anche se poi semplici non lo sono state.
Mi ha offerto un cocktail e ci siamo finalmente presentati con quell'imbarazzo di chi forse sta correndo troppo, e credo di essere arrossita parecchie volte per le troppe attenzioni che mi dava, forse non essendo più abituata ai complimenti. Continuavamo a guardarci finché ha raggiunto il mio tavolo e abbiamo iniziato a chiacchierare: ammetto di essermi sentita appagata nel comportarmi così da adulta, anche se poi sono finita col prendermi subito una gran cotta come la più ingenua delle bambine. Sembrava di essere in uno di quei film in cui i protagonisti si incontrano in un locale raffinato e in pochi minuti si innamorano uno dell'altro mentre sorseggiano Martini con uno stuzzicadenti e un paio di olive. E un po' è successo anche a noi.
Sono sempre stata una gran paranoica e negli ultimi tempi la cosa è peggiorata, soprattutto nei confronti degli uomini per i quali ho sviluppato un vero e proprio timore, perciò non so cosa diavolo mi passasse per la testa quando l'ho seguito sugli scogli per stare da soli: il rischio che ho corso credo renda l'idea di quanto fossi presa. E stregata. Il resto della notte lo custodisco gelosamente nel mio cuore e non ho intenzione di condividerlo con nessun altro, ma so per certo che non lo dimenticherò mai. Avevo scordato quanto è bello sentire la pelle di qualcun altro addosso. Le mie guance giovani graffiate dalla sua barba, le braccia forti che mi stringevano come se davvero il mio corpo valesse qualcosa, le bocche unite una all'altra senza staccarsi mai, la sabbia addosso. il suo respiro. Non mi sono fermata nemmeno dopo che mi ha confidato quel segreto, che poi era la gioia più grande della sua vita ma per me era un colpo al cuore: eppure l'ho accettato perché mi è bastato guardarlo parlare di lui per capire che non si può aver timore di una cosa così pura. Di un bene così sincero.
La mattina dopo ridevamo come scemi tra gli sguardi di fuoco delle pettegole della spiaggia, forse infastidite per la sua gentilezza nei miei confronti che non riservava a nessun altro, e forse perché la distanza d'età era evidente e la cosa le sorprendeva. Lui sembrava divertito tanto da starmi sempre addosso, giusto per non lasciare dubbi a nessuno, e ha passato la giornata a girare sotto il mio ombrellone a punzecchiarmi, e così il giorno dopo e quello dopo ancora. E ogni sera come una sciocca mi truccavo al meglio e andavo a fargli compagnia mentre lavorava, spesso tirando orari assurdi per aiutarlo a fare chiusura. Eppure non mi pesava dormire un paio d'ore a notte e non mangiare nulla: lui era la mia fonte di energia. Non mi capitava da P., Dio, quanto è strano scrivere di un uomo che non sia P.?
Le serate a scherzare con lui e gli altri ragazzi del chiosco penso che non le scorderò mai, anche solo per l'atmosfera di gioco e di leggerezza che si creava: mi sentivo a mio completo agio come se li conoscessi da sempre e non è decisamente una cosa che mi capita spesso. Mi presentava sempre agli amici che passavano a salutare e a volte mi sentivo un po' un trofeo, ma non mi sono mai sentita fuori luogo o in imbarazzo, è sempre stato in grado di capirmi e credo che questo sia l'importante. Anche se alcune sere non ne potevo più delle sue battutine decisamente fin troppo spinte e i suoi aneddoti che avrebbero fatto arrossire anche la più audace delle donne: però mi divertivo e questo è ciò che conta.
Dieci giorni volano in fretta quando si sta bene e non so nemmeno come ci sono arrivata al giorno della partenza. Ho passato ogni minuto con lui eppure mi sembra così poco tempo, ma forse anche cento anni sarebbero stati pochi in quel piccolo paradiso che avevamo creato. L'ultima sera è stata molto amara perché avevo la consapevolezza di dovergli dire addio e non ero pronta. Lui poi, scazzato com'era, non ha aiutato: eravamo entrambi tristi ma non siamo stati in grado di ammetterlo. È stato terribile guardarlo sapendo di dover memorizzare il suo viso perché non lo avrei più rivisto: cercavo di imprimere ogni cosa nella memoria ma sapevo che sarebbe stato tutto vano. Quante cose avrei voluto dirgli ma non ho avuto il coraggio, terrorizzata dall'idea di rovinare il ricordo di questa bellissima vacanza.
Quando ci siamo abbracciati avrei voluto non lasciarlo più perché sapevo bene che non sarebbe mai più successo. Mi ha fatto un discorso dolcissimo, a tratti paterno, che mi ha lasciato il cuore a pezzi. Avevo gli occhi lucidi e ho fatto di tutto per nasconderli, ma ovviamente a lui non è sfuggito, non gli sfuggiva mai niente che riguardasse me. In quel momento ho capito che non era solo flirtare o piacersi: ci eravamo affezionati uno all'altro nel modo più sincero possibile. Ero convinta di essere impassibile e invece mi sono resa conto che forse un po' innamorata lo ero, e lo avevano capito tutti lì a parte me: non credo che anche lui fosse innamorato, ma si era davvero legato a me, così vulnerabile e innocente. Mi sono presentata da donna adulta e l'ho salutato come la più ingenua delle bambine, ma so che lui mi ha apprezzato lo stesso.
Ciò che mi mancherà più di tutto sono le sue coccole. Le carezze sui capelli la mattina presto, il solletico ai piedi mentre dormivo sul lettino, i grattini alle braccia mentre dormivamo insieme in spiaggia, i baci sul collo e sulle spalle, i continui abbracci da dietro. La brioche al cioccolato più grande di tutte riservata a me, i buffetti sulle guance, il mio corpo stritolato quando dicevo di aver freddo e il ciuffo davanti dei miei capelli riportato dietro l'orecchio. Sono sempre stata una grande stronza, molto fredda e distaccata e che detesta ogni tipo di contatto fisico, ma da lui mi facevo coccolare come una bambina. Ho proprio scoperto un nuovo lato di me che avevo bisogno di tirare fuori. Ho bisogno di amore e affetto anche io. E non lo sapevo. O forse lo sapevo ma non me ne rendevo conto. Però è bello abbassare le barriere e spogliarsi dalle debolezze, pronti per essere accolti nelle braccia confortanti di qualcuno che ci ama. È bello scoprire e scoprirsi, anche quando si credeva di sapere tutto di sé.
Ho fatto tutto il viaggio di ritorno piangendo disperata sul treno mentre ascoltavo nelle cuffiette "Questo piccolo grande amore" di Baglioni e ripensavo a tutto ciò che avevo appena vissuto. Ho pianto anche la mattina dopo appena sveglia, quando mi sono ritrovata in camera mia e non nella casa al mare di Marghe, pronte per andare in spiaggia. E ho pianto anche per qualche sera perché mi mancavano i suoi baci. Però non ci sto male, perché in fondo piangere fa bene, ci si sfoga, e più si soffre più significa che si è vissuto qualcosa di davvero indimenticabile. Delicato. Sincero. Ho vissuto momenti che ora sono ricordi che custodirò per il resto della mia vita.
Spero di non dimenticarlo mai, soprattutto il suo viso e i suoi occhi emozionati mentre parla del suo mostriciattolo e lo descrive con parole dolci, le stesse con le quali sogno che qualcuno parli di me. E gli auguro che un giorno capisca il bene immenso che prova per lui. 
Le cose hanno un inizio e una fine, lo ha detto pure lui. Devo solo ripetermelo all'infinito finché non mi convinco.

 

"Di quei violini suonati dal vento
L′ultimo bacio, mia dolce bambina
Brucia sul viso come gocce di limone
L'eroico coraggio di un feroce addio"

L'ultimo bacio, Carmen Consoli

03 maggio, 2021

Suicide is painless

 A brave man once requested me

to answer questions that are key:

“Is it to be or not to be?”

and I replied “Oh why ask me”.




06 dicembre, 2020

Beautiful boy

Ho l'umore così instabile che spesso basta solo una canzone per farmi stare giù, perché qualsiasi parola è una tua evocazione. Questa volta è stata colpa del nuovo album di Sfera, perché tutto di un colpo mi ha ricordato di quanto tu fossi fissato e di come alla fine sia riuscito a trasmettere la passione anche a me. Sei stato tra i primi a seguire la trap quando ancora tutti la sfottevano, ma te eri già oltre, guardavi al futuro: ci pensi mai a quanto tu fossi in gamba per intuire subito che quella musica avrebbe funzionato? Per riuscire a far appassionare al genere pure una noiosa borghesina come me?
A volte mi incazzo se penso a quanto potenziale hai gettato via, disperso nel buco nero che hai dentro al petto, senza renderti conto di quante cose avresti potuto fare. Eri intelligente come pochi, prendevi buoni voti senza aprire libro e non riuscivi a capire come io, che per tutti ero quella in gamba, potessi sprecare interi pomeriggi per una sola materia: in confronto a te non ero nulla.
Ci pensi mai a quanta strada avresti potuto fare se solo le cose fossero andate diversamente? Avevi una luce negli occhi che raramente si vede nella gente, quella voglia, quel fuoco di vita che ti permetteva di essere sempre pieno di energia ad ogni ora del giorno. Che fine ha fatto? Cosa è successo in quei pochi mesi per far precipitare tutto quanto? Per farti chiudere in te stesso e non chiedere aiuto a nessuno? Nemmeno a me? Avrei usato la mia stessa pelle pur di proteggerti da ogni ferita, avrei sacrificato qualsiasi cosa, qualsiasi, pur di tentare di salvarti. Avrei legato i tuoi sassi alle mie caviglie per di farti rimanere a galla, anche se avrebbe significato annegare: pur di farti respirare sarei sprofondata negli abissi.
Probabilmente ci sono cose che non capirò mai, certi meccanismi nella tua testa che nemmeno tua madre riesce a comprendere, però ci provo lo stesso, ogni giorno, perché non saperti più leggere nell'anima fa male, tanto. La nostra connessione interiore ti rendeva speciale, il capirsi con un solo sguardo o sorrisetto, fare allusioni che solo l'altro recepiva, ridere di cose che solo noi sapevamo. Ma ormai sei diventato oscuro, non riesco a vedere più nulla dentro di te e tantomeno riesco a capirti: sei diventato uno sconosciuto. Dopo anni di alti e bassi, di pianti e di silenzio per l'obbligo di mantenere il segreto su di te e sul gran casino che è la tua vita, è come se non ti conoscessi e non riuscissi più a ricordarmi com'era viverti in spensieratezza. Faccio fatica a credere che un tempo mi hai regalato anche tanta gioia, tanta forza, e che non eri ciò che sei ora, anzi, sei stato tu ad essere un punto di riferimento, una boa a cui tenermi stretta quando la marea incombeva. In fondo sto solo provando a ricambiare un favore che mi hai fatto tempo fa.
Perché le cose devono sempre diventare più complicate? Perché il destino ha voluto farti penare? Perchè hai cercato di risolvere l'enorme vuoto che hai dentro in quel modo? Perché non sono bastata io? Con tutto quello che potevo donarti? Perché mi costringi a stare male mentre ti guardo continuare a ridurti una merda, senza capire che voglio solo proteggerti e che prima o poi pagherai per le cazzate che fai?
Hai sempre nascosto tutto, cercando di non far capire quanto fossi messo male, convinto di essere in grado di gestire ogni cosa, di poter risolvere tutto quanto, come tuo solito. E invece hai fatto solo il tuo male, perché la cosa è degenerata, hai superato ogni limite e a furia nascondere la polvere sotto al tappeto, si è rovinato. A forza di continuare ad aggrapparsi, la corda si è spezzata e nulla potrà mai ripararla. E mi chiedo spesso come sarebbe stato se avessi provato a resistere, o a tirarti indietro appena la situazione si fosse fatta seria. Se avessi chiesto aiuto a me o a qualche tuo amico, se avessi provato a reagire e tornare a respirare come prima. Se non mi fossi allontanata, o se proprio non ci fossimo mai incontrati, forse le cose sarebbero diverse, forse anche io sono stata causa del tuo male. Magari invece di aiutarti ti ho dato la spinta finale. Però ho cercato di risolvere, anche se ormai era tardi, ho provato a tamponare le tue ferite, a curarti con tutto l'amore che potessi donare, ci ho provato per davvero. Ma forse ci sono cose per cui l'amore non basta.
Non posso nemmeno sperare che qualcuno ci aiuti, perché se ho capito qualcosa di tutto questo incubo è che finché non lo provi sulla tua pelle non puoi capire quanto fa male vedere una persona che ami disintegrarsi da sola. Quanto corrode cercare in ogni modo di proteggerla dai problemi, di farle da scudo per ogni pugnalata, senza rendersi conto che è inutile perché la lama è abbastanza lunga da uccidere entrambi. Quanto è nauseante vedere il ragazzo che hai protetto e amato per una vita intera zoppicare da solo per il centro della città con in mano una bottiglietta per inalare la roba, il viso pallido e sudato e gli occhi scuri come abissi, diventando piano piano un cadavere che cammina. Un fantasma. Quanto ti distrugge vedere uno sconosciuto davanti a te, un corpo che non ha più vita, non ha più un'anima. Un corpo che non ha più amore e tantomeno è in grado di darne.
Quanto è difficile aiutare qualcuno che non vuole il tuo aiuto? Salvare qualcuno che non può essere salvato, né tantomeno vuole? Non auguro a nessuno di innamorarsi di un essere umano che si è totalmente perso in se stesso, nel labirinto del proprio lato oscuro e non ha intenzione di provare ad uscirne. Perché fa male. 
Sai, l'altra sera ho riguardato "Beautiful boy" e come sempre mi ha fatto pensare a te. Questa estate ho pure letto il libro per saperne di più: volevo capire il tuo mondo, perché fai quello che fai, cosa ti porta a perderti. Ho letto il monologo del padre di Nick e ho pianto parecchio, più del solito, perché ti descriveva alla perfezione. Eri tu, chiaro e limpido, e ti ho riconosciuto. Ho pianto per questo: perché sei uguale a Nick. Sei identico a quel bambino magrolino e con i ricci scuri che piano piano cresce, e con lui i suoi mostri. E allora non posso fare altro che disperarmi e farmi le stesse domande di suo padre: Ma che fine ha fatto il mio bellissimo ragazzo? Quel giovane, forte e brillante ragazzo? Quel speciale, unico e geniale ragazzo? Quel energico, intelligente e spiritoso ragazzo? Quel talentuoso, carismatico ed eternamente bellissimo ragazzo? Quell'anima pura di ragazzo? Dove è finito? Chi ho davanti? 

09 settembre, 2020

Addio

Tra poco le scuole riapriranno e pensavo a quante cose ho visto e vissuto al liceo e mi fa strano non poterci tornare più, non poter più rivivere certe emozioni, non fare più parte di quel mondo che vuoi o non vuoi, è stato la mia vita per tanto tempo. Forse non ero ancora pronta a dire addio a un luogo che ha segnato tutti i momenti più importanti della mia vita e non ero pronta a voltargli le spalle così, senza poterlo rivedere un'ultima volta e cambiare pagina come si deve. Forse rimango troppo attaccata al passato ed è sempre un trauma sopportare i grandi cambiamenti.
Non rivedrò più quelle pareti vecchie e grigie che, silenziosamente, mi hanno visto crescere, tra risate e lacrime, godendosi quelli che probabilmente sono stati gli anni migliori della mia vita, senza che me ne accorgessi. Non so perché tutte le grandi amicizie e soprattutto i grandi amori io li abbia incontrati proprio a scuola, ma così è stato, legandomi per sempre a quel posto.
È che non riesco ad accettare l'idea di non entrare mai più nell'aula 135, prima classe del primo giorno del primo anno, quando eravamo ancora tutti ingenui e speranzosi verso il futuro; quando passavamo il tempo a guardare i ragazzi più grandi passare in corridoio invece che studiare e i problemi nemmeno ci sfioravano. Oppure nella 45, quella di storia dell'arte, ultima aula dell'ultimo giorno dell'ultimo anno, anche se ancora non sapevamo che sarebbe stata l'ultima. Se ci si pensa è assurdo vivere per l'ultima volta determinate sensazioni senza esserne consapevoli, rimanendo con l'amaro in bocca perché avresti voluto vivertele diversamente. 
Mi mancherà infinitamente bere il cappuccino con cioccolato della macchinetta del terzo piano, il più buono del mondo, e chiacchierare con Lorenzo delle nostre mattinate mentre ci dividiamo qualche biscotto. Passare il tempo nell'angolino vicino alle scale di emergenza, mangiare e parlare di stronzate che forse poi così stronzate non erano. Dio, quanto mi dispiace non averlo salutato come si deve, perché se lo meritava: è stato la mia roccia in questi ultimi anni d'inferno, e mi dispiace non avergli mai spiegato quanto lui sia stato importante per me e quanto si meriti dalla vita. Perché persone così belle sono rare e io gli voglio un bene dell'anima.
È strana l'idea di non poter più vivere un intervallo con le mie amiche di sempre, a lamentarci per qualche verifica o interrogazione o a scherzare sui primini. Non sentire più l'ansia per una valutazione e innervosirsi per qualche brutto voto, o bigiare al bar in centro pur di saltare un ennesimo giorno in quell'inferno. Non fare più le code chilometriche al bagno o al bar per prendere una di quelle focacce ripiene che mi piacevano tanto. Non fare più parte di una routine con cui ho convissuto fin da bambina e a cui, in qualche modo, ero affezionata.
E mi dispiace non poter passare più i pomeriggi nelle palestre a guardare i tornei di calcio dei miei amici, quando ancora parlavo con S. e gli altri, per poi rimanere con loro sul muretto dell'uscita a piano terra a fumare e scherzare tra di noi. Sono passati anni eppure li reputo tra i momenti migliori della mia vita: erano situazioni semplici ma che mi facevano stare bene veramente, forse perché ero con le persone giuste. Forse perché ce ne era una in particolare di persona giusta. Che peccato vedere come sono andate a finire le cose, che peccato sapere che non parlo più con nessuno di loro e ognuno ormai ha preso la propria strada, e qualcuno si è pure perso. Che peccato non poter salvare tutti.
Mi manca appoggiarmi alla ringhiera del secondo piano con Giorgia, che anni fa era la mia migliore amica, ma ormai è passato talmente tanto tempo da non sembrare vero. Tutte le ore passate a parlare dei nostri amori e guardarli di nascosto dall'altra parte delle scale, gli stratagemmi per incontrarli e i pomeriggi spesi a parlare solo di loro: eravamo così piccole e bastava quello per poter pensare che la nostra amicizia sarebbe durata a lungo. Per pensare di non potersi dimenticare a vicenda. Quanto è brutto perdere le persone per strada? Eppure è inevitabile, capita a tutti, ma non significa faccia meno male.
Ed è strano pensare che non litigherò mai più con Marti nei corridoi, quando mi divertivo a prendermela per stronzate senza rendermi conto di perderlo piano piano. Probabilmente non ci parlerò nemmeno più, per colpa della mia convinzione di poter avere sempre il tempo di fare tutto, di poter sempre risolvere con calma ogni situazione; ma anche se mi costa dirlo, è stata importante la sua presenza in questi ultimi due anni ed è stato una distrazione fondamentale in momenti difficili, quindi non posso che essergliene grata.
Mi rifiuto di non poter dire addio all'aula 131, la mia preferita, dove ho conosciuto P., l'unica persona che mi abbia fatto innamorare per davvero. L'unica per cui dovrei ringraziare questa scuola, avendoci fatto incontrare. È bastato un cambio d'ora qualunque, un astuccio smarrito e boom, ho incrociato quel paio di occhi che mi hanno cambiato la vita per sempre. Quel "hai bisogno di aiuto a cercarlo?" mentre gli altri se ne fregavano, quel sorrisetto, quell'occhiolino, giuro che non li scorderò mai. Nemmeno tra cinquant'anni, nemmeno da morta. Quella classe è stato l'inizio di tutto e Dio solo sa quanto pagherei per poter tornare indietro nel tempo e rivivere quel giorno da capo. Quanto mi manca sentirmi così, vivere di purezza e innocenza, emozionarsi ancora per un semplice incontro con la persona giusta. Quanto mi manca lui, dopo tutto questo tempo, perché è sempre rimasto il solo e unico.
Non voglio dire addio nemmeno all'angolo calorifero del terzo piano, quello dove ho pianto quella volta in cui in quarta ho preso uno in diritto e due ragazzini di prima mi hanno consolato, inteneriti dalla scena. Mi viene da ridere a pensare a quella giornata, che sembrava tanto disastrosa e invece ormai è diventata una barzelletta su cui scherzo spesso: è così che ho capito che il tempo non cambia le cose, ma cambia il modo in cui le vediamo.
Che poi è lo stesso angolino in cui bevevo il thè con Lorenzo mentre punzecchiavamo Tino nella pausa tra la quarta e la quinta ora, lo stesso in cui anni prima P. mi lanciava mille occhiolini e io mi elettrizzavo. Quello dove ripassavo sempre con Marghe e Fra prima delle verifiche, e ci si sfotteva a vicenda e si pregava che andasse tutto bene; dove spettegolavamo e ridevamo come pazze per qualche mia stronzata. Mi fa piangere l'idea di non vivere più certi momenti tra noi tre, perché eravamo legatissime e certe cose non si dimenticano, anche se allontanarsi è inevitabile e ne sono tristemente consapevole.
E poi le scale. Dio, le scale tra il secondo e il terzo piano: quelle sono uniche, speciali, e hanno il mio cuore. La prima volta che ho visto P. a scuola mi trovavo proprio lì, e non riuscivo davvero a credere che lui potesse trovarsi esattamente davanti a me. Dopo mesi passati a fantasticare su di lui per il nostro primo incontro in una sera d'estate, avevo avuto la fortuna di ritrovarmelo a scuola grazie alla sua poca voglia di studiare. Quasi non ci credevo, era una fortuna troppo grande per essere capitata a me. Eppure la sensazione delle mie gambe che tremano sugli scalini mentre lo guardo salutare gli amici ce l'ho ancora ben stampata nella memoria, nonostante gli anni. Il batticuore, lo stupore, l'adrenalina, li sento nel petto ancora adesso: che tristezza pensare che in quel momento ero totalmente ignara del dolore che avrei provato in futuro a causa sua.
Quelle scale hanno visto anche il primo incontro tra me e Chetra dopo tanti anni senza vederci e penso che questo basti per far capire quanto ci sono legata. Una mattina di maggio qualunque, io di fretta e lui rilassato come sempre, eppure sono entrata in ritardo in classe pur di rimanere a parlare, talmente ero felice di rivederlo, talmente mi brillavano gli occhi dall'emozione. Lui è uno dei motivi più grandi per cui non voglio cambiare pagina: ho paura di dimenticarlo, di dimenticare i nostri momenti insieme in quella scuola. Ho paura che non vedendo più certi luoghi, io possa perdere quella manciata di pochi ricordi che ancora conservo nella stanza più preziosa della mia mente.
Che poi sono le stesse scale in cui ho aspettato di entrare nell'aula del mio orale di maturità, mentre tremavo tutta e ripassavo disperatamente cittadinanza con Marghe, che è stata così santa da accompagnarmi. Mi piace pensare di aver concluso ufficialmente il liceo proprio lì, nel posto più importante di tutti: è come se nel mio piccolo, io sia riuscita a chiudere il cerchio. Ha reso quel momento molto più significativo, anche se più doloroso, perché le due persone più importanti che ho incontrato in quella scuola le ho incontrate proprio su quelle scale e fa male non averle avute al mio fianco in un giorno come quello. Una che non mi parla più per scelta, l'altra che non ha potuto nemmeno scegliere.
Non sono pronta a dire addio a tante cose, forse troppe, e probabilmente non lo sarò mai. Non è facile voltare le spalle a qualcosa che è stato la tua vita per tanto tempo, tantomeno dire addio alle persone e ai ricordi che abbiamo di loro. Non è facile accettare che il tempo passa e non si può far altro che corrergli dietro, nonostante il continuo affanno.
Ciò che forse mi pesa più di tutto però, è non salutare come si deve la mia fantastica ed immensa 5SB. Ne abbiamo viste di tutti i colori, cazzo. Siamo partite in prima che eravamo quasi una trentina e ormai siamo poco più di quindici, stanche e amareggiate da una scuola che non ha saputo motivarci abbastanza. Però questo è stato anche il nostro segreto: le delusioni ci hanno unito, ci hanno portato ad aiutarci a vicenda, stringendo un legame che non è così frequente nelle altre classi.
Siamo state una grande classe, la migliore di tutti i tempi. Abbiamo saltato gite, progetti, alternanze, incontri e tutto ciò che degli adolescenti possano desiderare, e siamo rimaste fregate e deluse un sacco di volte e ognuna di noi ha pensato di mollare almeno una volta. E alcune lo hanno fatto. Ma non noi, che siamo rimaste fino al quinto anno in questo carcere di scuola, nonostante la tentazione di abbandonare tutto e tutti. Abbiamo resistito perché abbiamo fatto gruppo, e anche se forse spesso non ce ne siamo rese conto, abbiamo alleggerito il peso di quel posto.
Voglio bene a tutte. Dalla prima all'ultima. Anche con quelle con cui ho legato poco nulla durante questi anni, o quelle con cui ho litigato e ho giurato solennemente di non volerle vedere mai più in vita mia. Abbraccerei tutte, anche se non l'ho detto mai e mai avrei pensato di farlo. Voglio un bene dell'anima ad ognuna di voi e non poteva capitare gruppo migliore di questo.
Ho in cuore rotto in mille frammenti, quasi polvere, a pensare che non ci ritroveremo mai più la mattina poco prima delle otto, sul muretto sotto il nostro amato albero, a fumare tutte insieme e insultarci un po'. A urlarci parolacce, spintonarci e ridere come stupide, risultando quasi fuori luogo tra i musi lunghi della mattina presto. Dovremmo metterci una targhetta, sotto quell'albero, perché ormai è nostro e nessun'altra classe potrà mai anche solo avvicinarsi a ciò che siamo state noi: quel ritrovarsi ogni mattina prima di scuola dimostra quanto eravamo unite e quanti bei ricordi abbiamo insieme. E me lo poterò dietro fino alla morte.
Mi mancherà non poter stare a lezione con voi, avervi tutte vicine, mentre ascoltiamo qualche discorso noioso che non avremo voglia di studiare. Spintonarmi con Anzu durante le lezioni di inglese con i banchi con le rotelle, insultarmi a vicenda con Bea e Fra, commentare con Pilu il professore che ci piaceva tanto, spettegolare con il gruppo della Valle. Sfottere tutte insieme la Colombo e le sue etichette dimenticate sui vestiti, lamentarci dell'Erasmus, fare le sceme durante le lezioni di diritto e le stonature dei karaoke delle feste di Natale.
È così ingiusto non poter dire addio a tutto questo, il mio cuore ne ha bisogno. Anche solo una piccola singola ora, per poter stringere tutti quanti e correre un'ultima volta al terzo piano, dove ho troppi ricordi per poter davvero riuscire a lasciarli andare. Amo tutto. Amo tutti. Vorrei vedervi un'ultima volta, in circostante normali, e dirlo guardandovi negli occhi. Vi porterò dietro tutta la vita, la scuola rimarrà per sempre una porta socchiusa, con la chiave per chiuderla smarrita chissà dove. Sarà un cerchio che non si concluderà mai, come quando muore una persona cara e non riesci ad andare al funerale, o non riesci a piangerla come si deve, e allora te a porti dietro per sempre, quasi come un peso, perché non riesci a staccartene. Perché non gli hai mai detto addio.
Spesso mi chiedo cosa succederà dopo la maturità, se ci rivedremo ancora, se rimarremo legate, oppure se nel giro di poco non ci saluteremo nemmeno più per strada. Probabilmente molte di noi si perderanno di vista, ma in fondo è normale, è così che deve andare, sarebbe strano il contrario. Però mi dispiace, perché dovevamo vivere il nostro ultimo giorno di scuola come si deve e riuscire a salutarci, per poi litigare come fanno tutte le altre classi a fine quinta. Ma non importa, ce la siamo cavata comunque, anche se chiuse in casa senza poterci vedere: siamo state perfette anche in quello.
Forse non ci vedremo più. Ognuna prenderà la propria strada e non si guarderà più indietro. Forse arriveremo ad odiarci. Forse semplicemente ci dimenticheremo ognuna dell'altra. Ma non mi importa, non rimangio quello che ho detto fino ad ora. Al di là del finale, importa il nostro cammino. Ed è stato fantastico cazzo.

17 maggio, 2020

Uno

17/05/2020
Un anno. 
Non è questo il tipo di anniversario che vorrei festeggiare in una notte d'estate. Spero che tra le stelle che illuminano il cielo stasera ci sia tu, che mi guardi piangere per te.
Ho bisogno di sapere che sei rimasto al mio fianco, che mi proteggi da lassù.

"La donna cannone" di Francesco De Gregori

"Con le mani amore, con le mani di prenderò e senza dire parole nel mio cuore ti porterò..."


29 marzo, 2020

Confine

“Il valore delle cose lo si capisce solo quando le si perdono”

Ormai è giorni che sono chiusa in casa in isolamento e mai come ora sto capendo l’importanza delle piccole cose, quelle che di solito diamo tanto per scontato e che mai penseremmo che ci potrebbero essere tolte. Di quei piccoli dettagli che sembrano insignificanti e che invece sono proprio quelli a dare senso alle nostre esistenze, perché le rendono uniche: come i quadri d’autore e le loro anonime riproduzioni.
Mi manca uscire di casa quando voglio, respirare aria fresca e camminare per un po’ sul lungolago, osservando le piccole barche che tagliano l’acqua, godendomi l’aria fresca e pungente mentre ascolto Mystery of love di Sufjan Stevens nelle cuffiette. Mi manca passare i pomeriggi al barettino in centro con Maria, sorseggiando aperitivi e divorando la salsina piccante che tanto amiamo, spettegolando del mondo. Mi manca fumare sulle scale del quinto piano di casa di Marghe, durante i nostri flussi di pensieri filosofici condivisi, o lamentarmi delle piccolezze con Fede, mentre passeggiamo per ore senza mai avere una meta.
Sono stanca di passare le ore in totale tensione, in equilibrio su una fune tesa tra una valle infuocata, mentre continuo ad aggiornarmi sui vari giornali online sulla situazione in Italia, temendo il crollo degli ospedali, delle borse europee, della mia mente. Ho i nervi distrutti dalla pressione che mi getto addosso da sola e mi domando per quanto tempo sarò ancora in grado di resistere: i numeri mi mettono angoscia, e così anche i muri di questa casa, che quasi sembrano intrappolarmi in una voragine di claustrofobia. 
Mi manca la scuola. Mai nella vita avrei lontanamente pensato che un posto di merda come quello potesse provocarmi della nostalgia. Però mi manca prepararmi di fretta la mattina e correre verso l’albero davanti all’entrata di scuola e ritrovarmi con tutte le mie compagne di classe a fumare mezza sigaretta prima di affrontare cinque ore di inferno. Mi manca ridere e scherzare con loro mentre ci tiriamo pezzi di carta addosso, o dormire nelle lezioni noiose, o litigare per chi per prima andrà in bagno nell’ora di diritto. È che pensavo di provare queste cose a maturità finita, quando ci si saluta con la consapevolezza di non rivedersi mai più, non ora, non in questa situazione surreale e disastrosa, non così. 
Non immaginavo di ritrovarmi senza le persone, le abitudini e i luoghi che ho sempre dato per scontato, fin da quando solo nata: non ho mai dubitato di essere fortunata, di trovarmi dalla parte giusta del mondo, ma non sapevo come ci si sentisse a non esserlo. Non sapevo come fosse vivere con l’incertezza, la paranoia, il tremore continuo di non sapere cosa accadrà.
Mi manca passare l’intervallo davanti alle macchinette con Lorenzo, ore e ore perse a chiacchierare di cazzate, e ascoltare le voci estranee degli altri, guardando mille occhi di infinite sfumature diverse. Mi manca litigare con l'idiota nei corridoi, mandarlo a quel paese e tenergli in broncio per giorni interi, senza rendermi conto che se mi incazzo sempre così tanto, evidentemente è perché gli voglio un bene sconsiderato, anche se non voglio ammetterlo. E poi la campanella dell’ultima ora, la leggerezza di una mattinata appena finita, e i pettegolezzi infiniti con Marghe e Franci, prima di attraversare sulla strada senza strisce e prendere di corsa il pullman per tornare a casa.
Mi manca il colore del cielo senza nuvole in primavera, o dei fiori del giardino sotto casa, con quell’odore dolce e intenso di chi non ha peccato, o dell’asfalto grigio attraversato da quei veicoli tipici di ogni città trafficata e a cui mai avrei pensato di affezionarmi. Mi manca poter vedere le diverse variazioni cromatiche delle pelli della gente, che parlano e ridono insieme simultaneamente, che si guardano e si sfiorano, senza sapere quanto sono fortunate a poterlo fare.
Mi sono sempre lamentata di un sacco di cose, e proprio ora che non le ho, capisco il loro valore, e la fortuna che ho avuto nel possederle. Quanto è importante toccare le persone che amiamo? Come quando ci si ammala e ci si rende conto di quanto sia preziosa la salute, ma appena guariamo già ce ne siamo dimenticati.
Non mi piace questa situazione. Non mi piace questo virus. Non mi piace la mia testa quando è messa così tanto sotto pressione. Non mi piace come ragiona la gente, troppo egoista per pensare anche al bene degli altri, oltre a quello personale. Non mi piace avere paura. È come stare in apnea in un abisso oscuro, senza sapere se riuscirò mai a raggiungere la superficie.
Ho paura che tutto degeneri. Ho paura per la mia famiglia e per i miei amici, di doverli vedere morire come animali senza che abbiano potuto a ricevere visite, per colpa di gente che non è riuscita a rinunciare ad una domenica sugli sci. Per colpa di un’intera classe politica e di evasori fiscali che hanno reso la sanità pubblica italiana un mucchietto di briciole, nonostante il suo potenziale, e che ora si incolpano a vicenda invece che trovare una soluzione.
La verità è che non posso fare altro che affidarmi al fato, al destino, e sperare con tutta l’anima marcia che ho, che non succeda nulla, che non si arrivi a dover fare delle scelte per le cure, che non debba vedere mio padre scartato, magari per eccesso di un anno o di una pastiglia, e abbandonato dallo stesso Stato che giura di proteggerci, di farci da armatura. Che il mio cuore non si rompa in infiniti frammenti solo per una questione di statistica, di numeri.
Ho paura per te, che non so nemmeno dove sei e con chi, cosa ne pensi di tutto questo disastro, come ha reagito la tua testa davanti alle notizie, se sei ancora stabile oppure le paranoie ti hanno già imprigionato. Se qualcuno a cui vuoi bene è in pericolo o se invece sei tranquillo e senza pensieri, se ti stai proteggendo oppure te ne freghi e continui a uscire di casa con i tuoi amici. Ho paura perché so che sei piccolo e indifeso, e non oso immaginare come stai messo, in che condizioni di salute sei, dopo tutte le cose di cui ti sei fatto in questi anni. Non so nemmeno se avresti le forze di affrontarlo, un virus così, ridotto come sei, perso in ombre che forse nessuno può capire, nemmeno te.
Ho paura che tu abbia paura, perché mi uccide l’idea della tua sofferenza. E ho paura per me, perché per quanto io sia giovane, non sono così sicura di essere esente da questa ombra oscura. O che tu lo sia.
E mi fa paura morire. Per mille ragioni. Mi fa paura non averti salutato, P., un piccolo ultimo cenno prima di non vederti più. Non averti detto tutto ciò che sento. Tutto ciò che mi è successo, da quando abbiamo smesso di parlarci.
Forse è questo il problema, l’origine del mio malessere, della mia angoscia. Non il morire, ma morire senza te che mi tieni la mano. Senza i tuoi grandi occhioni scuri che mi rassicurano, anche se hanno visto più demoni dei miei. Senza il mio Xanax.
Eternamente tua,
En.

12 gennaio, 2020

En e Xanax

Caro P.,
È un periodo che mi manchi da morire. Non so dirti il perché, visto che non ti vedo da talmente tanto tempo da non essere nemmeno più sicura che abiti ancora a Lecco. Non so perché continuo a pensarti dopo tutto questo tempo, nonostante tutte le nuove persone che ho conosciuto e tutti i cambiamenti che ho fatto. Non so perché continuo a cercarti così insistentemente senza un motivo logico. Forse perché tutte le lucciole tornano alla loro siepe nei giorni freddi, ed io mi sento così sola da avere il gelo nelle ossa e non ho bisogno di nient’altro se non delle tue braccia calde che mi fanno da riparo.
Inizio a pensare che passerò la vita innamorata di te e non permetterò mai a nessun altro di prendere il tuo posto. Ho paura di averti dato così tanto da non avere più niente da offrire agli altri, come se a furia di non ricevere mai nulla indietro io mi sia svuotata. Forse dovrei smettere di ascoltare solo la musica che ti piaceva nel disperato tentativo di capire cosa pensi, cosa provi, e dovrei iniziare a seguire ciò che mi fa sentire bene. Ma ormai è così tanto tempo che ti custodisco dentro al mio piccolo cuore di ghiaccio che credo non ci sia differenza tra cosa piace a te e cosa a me. È come se la mia mente fosse solo un’estensione della tua, senza la quale io nemmeno esisterei. Come se fossi aggrappata al tuo treno, che viaggia sempre veloce e senza destinazione, non avendo nessun potere su di esso, e se decidessi di fermarti, io mi fermerei con te.
È che ogni tanto vorrei solo avere tue notizie, dopo tutto questo tempo, sapere se stai bene o se sei nella merda fino al collo, come tuo solito. Sapere se ci sono momenti in cui ti senti perso anche tu e le paranoie ti divorano l’anima, e magari un po’ ti sei pentito di essertene andato; o se invece ora tutto va per il meglio e non hai più bisogno delle persone che avevi prima. Pensa, ci tengo così tanto che spero profondamente nella seconda opzione, perché tutto ciò che voglio è vederti felice, non importa se questo significa non essere nella tua vita.
Però vorrei dirti un sacco di cose. Vorrei raccontarti cosa mi è successo in questi due anni di silenzio tra noi, farti mille domande e poi ascoltare le risposte per ore. Vorrei spiegarti come mi sono sentita sola a volte, quando uscivo da scuola e tu non eri più al cancello ad aspettarmi per rubarmi una Camel: Dio, non ti immagini nemmeno per quanto tempo ne ho tenute due in mano, con l’amara illusione che tu potessi apparire da un momento all’altro e volerne una. Quando le giornate andavano tutte storte e avevo bisogno di un tuo mezzo occhiolino o di uno dei tuoi soprannomi improbabili per sentirmi meglio. Quando la mattina non volevo più alzarmi dal letto, perché senza te a scuola non avevo più un motivo per farlo, e ormai la voglia di fare qualsiasi cosa se ne era andata.
Siamo così stupidi a volte: perché litigare e farsi del male quando ci si ama? Perché smettere di parlarsi solo per dei capricci, per pigrizia? Perché sprechiamo così tanto tempo a soffrire per una passata manciata di secondi di felicità? Penso che sia assurdo che tu non ne abbia più voluto sapere di me per dei malintesi del cazzo che non mi hai mai fatto nemmeno spiegare. Per dei pettegolezzi che non erano veri, per delle cose che non ho mai fatto e mai detto, per delle mancanze di rispetto che non ho avuto. Fondamentalmente, dopo più di due anni, io non so ancora il vero motivo per cui ce l’hai a morte con me. Non so nemmeno perché non ci parliamo più. Non so neanche se esiste, un motivo.
Ma ti rendi conto che inizio a far fatica a ricordare il tuo viso? Ti sembra giusto? Non lo vedo da così tanto tempo che il ricordo sta svanendo poco a poco. È assurdo dimenticarsi il volto della persona che si ama, è una tortura che corrode il cuore piano piano. È come dimenticare se stessi.
I grandi occhioni tondi che mi hanno incantato la prima volta che ci siamo visti si stanno annebbiando sempre di più nella mia memoria, e quasi fatico a ricordare di che tipo di castano siano fatti. Non sono neanche più sicura di quanto fossero morbidi i tuoi ricci, talmente i ricordi si stanno confondendo, o quanto fosse pura e spontanea la tua risata, quando nasceva per una mia battuta. Quanto eri bello quando sorridevi per me?
Mi hai fatto soffrire così tanto in questi anni, trasformandomi in un uragano sempre pronto a distruggere chiunque si avvicinasse. Sono sempre stata così concentrata su di te da trascurare il resto, e spesso me ne sono pentita, perché ho perso amici che per me hanno sacrificato tanto, e mi volevano bene. Ma io non ho mai sopportato chi cercava di allontanarmi dal tuo ricordo, e così mi sono chiusa in me stessa e nella mia malinconia di ciò che è stato.
Non so nemmeno più come fa a mancarmi, una persona che ormai non conosco più. Che ormai non è più parte della mia vita. Che se ne è andata e non si è mai voltata indietro, nemmeno una volta. Perché P., sei stato così stronzo che non ci hai mai ripensato, non hai tentennato nemmeno un secondo quando hai dovuto prendere le tue decisioni. Possibile che non valevo nemmeno un dubbio?
Eppure giuro che nonostante tutto, potessi tornare indietro, in quel McDonalds ci tornerei altre infinite volte. Non importa le conseguenze che hai portato, il dolore immenso che ho provato e le innumerevoli lacrime che ho versato. Rifarei tutto quanto. Ogni singola piccola cosa. Rivivrei tutto. Nessuno è mai stato come te. Non ho mai guardato nessun altro, nel modo in cui guardavo te. Nessuno riesce a farmi svegliare mezz’ora prima la mattina, nonostante tutti sappiano quanto io sia poco mattiniera, col sorriso stampato il faccia e piena di energia, solo all’idea di vederti: più di un’ora ogni giorno a prepararmi, truccandomi meglio che potevo e facendomi i boccoli, perché volevo sempre essere perfetta per te. Nessuno mi fa trovare la voglia di stare in giro per pomeriggi interi, anche in pieno inverno, solo per riuscire a trascorrere qualche minuto in più insieme. Però per te lo facevo, perché mi piaceva aspettare fuori da scuola che finissi le ripetizioni o le partite di calcio, mi faceva stare bene. Ero felice di fare qualsiasi sacrificio ti riguardasse perché non mi pesava, come se la tua magia facesse diventare piacevole qualsiasi scocciatura. Solo tu ne eri capace.
Nessuno mi ha mai toccato così tanto il cuore da continuare a scrivere su di lui, pagine su pagine, messaggi su messaggi, libri su libri. Nessuno mi ha mai colpito così tanto da impazzire totalmente, violando ogni regola o abitudine solo per lui. Nessuno è mai riuscito a farmi sentire viva, ma viva per davvero, nonostante i momenti difficili. Nessuno è come te.
Ti amo dal 22 agosto 2016 e non ne ho mai dubitato nemmeno per un giorno, nonostante tutti i problemi, tutti i pianti isterici e le litigate finite col mettersi le mani addosso nel mezzo delle discoteche. Anche con le incazzature degli ultimi mesi, con quel paio di cattiverie che mi porto ancora dietro, che hanno creato delle crepe irreparabili tra di noi. Neanche se S. ha incasinato tutto quanto, perché so che ho sbagliato e quel bacio ha mandato tutto a puttane e credo che non me lo perdoneró mai. Neppure con quella telefonata in piena notte di un paio di estati fa, in cui ho urlato le peggiori parole, ferendoti senza nemmeno accorgermene. Nonostante senza di te io mi senta sempre così sola, e tutti gli altri non mi sembrino abbastanza, imprigionandomi in queste catene che non mi permettono di muovermi.
Eppure è come se non mi importasse. Non mi è mai lontanamente passato per la mente che tu potessi non essere il grande amore della mia vita: sono passati tre anni e mezzo e non ho cambiato idea. Non ho mai avuto dubbi nonostante tu mi abbia abbandonata in sto posto di merda senza mai provare a risolvere, comportandoti da stronzo.
Ma cosa devo fare più di così? Quante lettere a vuoto dovrò ancora scrivere? Quante volte dovrò urlare il tuo nome nella speranza di ritrovarti? Quanti momenti di ansia dovrò ancora superare prima di poter riavere uno dei tuoi abbracci? Quanto tempo passerà prima che potremo guardarci negli occhi di nuovo? Quanto aspetterò prima di tornare a sentirmi felice come lo ero con te?
Con tutto l’amore che una ragazza con il cuore spezzato può offrirti, nonostante il tuo perenne odio nei miei confronti.
Io sono ancora qui, pronta ad offrirti tutte le Camel alla menta che vuoi,

Chiara

30 novembre, 2019

Rumore

Ho smesso di preoccuparmi di cosa pensano gli altri da un po’ ormai, più o meno da quando mi sono resa conto di quanto sia breve e irrazionale la vita. Di quante pare ci facciamo senza renderci conto che un giorno saremo polvere, e non importerà più a nessuno se a quella festa abbiamo indossato un vestito fuori moda o se all’interrogazione di matematica abbiamo fatto scena muta. Se abbiamo scritto a quel ragazzo invece di aspettare che lo facesse lui.
Ho smesso di preoccuparmi dell’inutile, non dopo aver visto quanto le cose possano cambiare da un momento all’altro. Quanto sia difficile rimanere a galla mentre si sta affogando in un oceano di lacrime. Non dopo aver visto morire gente troppo giovane, troppo buona, troppo innocente.
Cerco di godermi le piccole cose belle perché so che tra poco tutto svanirà, ed io non sarò più la stessa di prima. La calma finirà, cambieranno parecchie cose, e tutto ciò che ho ora, un giorno non lo avrò più.
Lo vedo negli occhi di mia madre ogni mattina, con il volto ormai invecchiato di dieci anni, mentre fa i conti con il malore di questa estate, che non la farà più tornare come prima. Lo vedo nel viso dell’unico ragazzo che io abbia mai amato in vita mia, ormai segnato dai tormenti e dall’oscurità del vicolo cieco che ha scelto di prendere. Lo vedo sul mio corpo ogni volta che mi specchio, la mattina presto o la sera prima di andare a dormire: ho tutto scritto addosso. L’ansia, la paranoia, i tremori, le paure, i pianti, le delusioni, la frenetica ricerca di attenzioni vane, il pensiero costante di perdere chi amo. La mia cazzo di testa che non smette mai di funzionare, nemmeno quando dormo. 
Ho gli incubi ogni santa volta che chiudo gli occhi, ogni cazzo di volta: sogno chi ormai non c’è più, illudendomi di averli ancora accanto a me, per poi svegliarmi di colpo e ricordarmi, sempre e per sempre, la dura verità. È un periodo in cui mi sento follemente felice e profondamente triste allo stesso tempo. Come quando vinci un premio ma in cuor tuo sai di non meritarlo, e allora ti rimanere quel gusto amaro in bocca per giorni interi. 
Sono andata ad un concerto che sognavo da tempo, ho conosciuto tantissima gente, mi sono innamorata di due occhi blu che non ho più rivisto, ho cantato a squarciagola e saltato tutta notte. Poi sono andata a ballare mille volte, ho preso tanti bei voti a scuola, ho anche conosciuto un ragazzo che è gentile e pacifico come lo desidera ogni madre per la propria figlia. 
Eppure mi manca qualcosa. Vorrei sentirmi libera una volta tanto, sbloccarmi, distruggere le catene che frenano il mio cervello. Ci sono sere che mi sento spenta, come cenere abbandonata sull’asfalto freddo di qualche cittadina anonima. Altre notti ho un fuoco dentro, che mi brucia viva lacerandomi la pelle.
Ho diciotto anni, ma spesso me ne sento trenta in più. Vorrei godermi le cose con spensieratezza, ma non ne sono proprio capace. Più ci provo e più peggioro. Forse ci sono persone che non sono fatte per vivere tranquille in questo mondo, e da un lato sono grata di non essere come gli altri. 
Però a volte, nel profondo del mio cuore, vorrei poter respirare a pieni polmoni e godermi il momento senza pensare ad altro. Vorrei tornare a prima che te ne andassi.

25 settembre, 2019

La paura

Ormai ho così tante paure da non riuscire nemmeno a tenerne il conto. 
Ho paura di non realizzarmi, di finire a trent’anni a lavorare in un fast food perché non sono stata in grado di arrivare in alto. Ho paura di passare la vita in questa merda di città, senza avere mai le palle di scappare e ricominciare da capo. 
Ho paura di non innamorarmi mai, di non incontrare nessuno che riesca ad affascinarmi veramente, a farmi battere il cuore con un solo sguardo anche dopo vent’anni di matrimonio. Ho paura di perdere le persone che amo, di vederle soffrire, di guardarle dall’alto mentre dormono per l’eterno in una cazzo di scatola di legno. Ho paura di perdere l’amore della mia vita senza essere mai riuscita a dirglielo, passando la mia intera esistenza a rimpiangere di non averlo fatto.
Ho paura di morire. Forse è infantile, un po’ banale, ma mi ossessiona. Ho paura di andarmene non riuscendo a raggiungere nemmeno mezzo sogno, lasciando che il mondo vada avanti senza di me. Ne ho vista troppa di gente giovane morire in un attimo, mi è impossibile non pensarci. Forse il fatto di avere Che come sfondo del mio telefono non aiuta, visto che mi sbatte in faccia ad ogni ora del giorno che aveva 22 fottuti anni ed ora non c’è più.
Ho paura che il mondo finisca, gettandoci tutti quanti nel nulla più totale, e con noi i nostri sentimenti, le nostre intere vite e quelle di chi amiamo. Anche se prima o poi succederà, è inevitabile. Però quanto cazzo fa paura tornare ad essere niente?  Non poter più pensare, parlare o provare amore? Ma come fa la gente ad essere così tranquilla pur sapendo che sicuramente un giorno morirà?
Non posso fare altro che cercare di ignorare questi pensieri bui che mi divorano distraendomi in inutili passatempi. Cerco di ingannare me stessa perdendomi in impegni vani, studiando, scrivendo, camminando, fermandomi ogni tanto e guardandomi intorno per imprimere nella mia memoria ciò che vedo.
Vorrei provare a vivere una vita piena di avventure, senza limiti o regole, cercando di fare tutte le esperienze possibili: vorrei andare a mille concerti, visitare ogni angolo di questo mondo, ridere a crepapelle milioni di volte, ballare sotto la pioggia, dare infiniti baci. Voglio arrivare ad essere stufa della vita perché ho fatto tutto ciò che era possibile fare; ma non è facile. 
Siamo così tanto legati a ciò che la società moderna ci impone che le catene ce le siamo create da soli ed esistono esclusivamente nella nostra testa. Se dovessero liberarci, non sapremmo nemmeno dove andare e non ci muoveremmo di un millimetro. Come un neonato spaesato nel non trovare la propria madre.
È che proprio non capisco perché non posso fare come mi pare: perché mentre sono a lezione non posso semplicemente alzarmi ed uscire da scuola, prendere un treno e andare a visitare qualche bella città? Perché non posso zittire i mostri nella mia mente bevendo Martini fino a dimenticare perfino come mi chiamo? Perché non posso conoscere il tipo che trappa nelle mie cuffiette? È bello, è sboccato, è sregolato, perché non posso averlo? Perché non posso urlare a squarciagola per le strade che questo mondo è ingiusto? Se mi va di farlo, perché non dovrei? 
Siamo tutti degli oppressi, e fortunato è chi non se ne rende conto. Perché così non impazzisce, cazzo. Chi capisce l’assurdità dei limiti dell’uomo, della vita e della morte, è destinato alla tristezza eterna. Perché se sei consapevole di quanto tutto sia effimero e illusorio, non riesci più a goderti le cose. Non riesci più ad essere felice. Come un soldato che dopo essere tornato dalla guerra non ha più tregua nella testa, segnato per sempre da ciò che ha visto.
La paura mi sta bruciando viva. Non lo capisci, se non lo vivi non lo capisci. Non puoi immedesimarti, non è una cosa che si può anche solo lontanamente immaginare. Non sai com’è avere l’angoscia di chiudere gli occhi per la paranoia di non poterli riaprire più. Non sai cos’è il panico, se non hai mai avuto un vero attacco, di quelli che ti soffocano. Nello stesso modo in cui un giovane non sa cos’è un cuore spezzato finché non si è innamorato per davvero.
Non faccio altro che camminare per la strada di questa città grigia e desolata alla ricerca di qualcosa che non conosco ancora e non trovo. Probabilmente non la troverò mai. Forse è questo che mi fa più paura di tutto il resto. Non trovare ciò che cerco. Non capire cosa cerco. Non sapere di cosa ho bisogno. 
Ma è la vita, no? Funziona così, non c’è via d’uscita. Prima o poi finisce. Ed è l’unica cosa a questo mondo che è uguale per tutti. Ma non mi tranquillizza lo stesso. Anzi, mi angoscia ancora di più.

22 agosto, 2019

Sotto il diluvio

Primo incontro: 22 agosto 2016 

Non ho mai guardato nessuno
Come guardo te sotto il diluvio
Sempre bello ma mai lucido
Innamorata del tuo sorriso stupido
Sei una poesia di Ovidio
Io ti darei tutto e subito
Sei sempre stato il solo e unico
Il mio più prezioso rifugio
Io e te sotto il cielo di luglio
Non ti ho mai detto di no
Dalle sigarette rubate all'accendino

Non ho mai guardato nessuno
Come guardo te sotto il diluvio
Piango ad ogni plenilunio
Ti porterei fino a Mercurio
Ormai vivo sempre in bilico
siamo soli e tristi come un brano malinconico
Oggi ti ho visto allegro come al solito
Lo sguardo sempre un po' timido
Nel mio stomaco c'era il delirio
E sai mi sei mancato tanto amore mio
Quando non ci sei tutto è buio


29 luglio, 2019

La notte

Ci sono sere che impazzisco, ti vedo ovunque, mi perseguiti come se fossi la mia stessa ombra. Ci sono notti lunghe come anni, in cui non riesco manco a dormire per la paura di non svegliarmi più. Ho un mostro nello stomaco che mi sta divorando piano piano e nessuno se ne accorge.
Vivo con la corda del tuo ricordo che mi stringe il collo sempre di più, fino a strozzarmi. Vaffanculo, Che. Mi hai lasciato sola in un mare di merda ed io manco so nuotare. 
In questo periodo ho certi pensieri che mi fottono in cervello, mi fanno venire idee strane, contorte, scorrette, eppure così affascinanti. La mente non mi si spegne mai, nemmeno per un secondo. Non si ferma, non riesco nemmeno a tenere il fiato, talmente va veloce. 
Ho la testa di una persona che vuole scalare il mondo imprigionata nel corpo di una che ha paura di tutto. Questo posto è la mia cella e i fantasmi nel mio cervello fanno da sbarre. La chiave dev'essersi smarrita in un oceano di lacrime.
Sapessi del panico di ogni volta che salgo su una macchina, con le gambe perennemente tese e gli occhi che controllano ogni cosa. Sapessi dell'attacco che ho avuto l'altra sera, mentre stavo su un treno desolato e all'improvviso mi sono ritrovata persa nel buio. Sapessi di quanto sono diventata paranoica, per il timore di perdere qualcun altro. 
Lo so, mi sono ridotta male. Colpa tua. E di sto schifo di posto che non mi fa respirare. Colpa mia che non riesco a voltare pagina.
È estate e già mi viene da piangere a pensare di ritornare in quella scuola, dove ogni cosa mi ricorda te e di come ci siamo reincontrati. E ogni cazzo di giorno mi sbatte in faccia che tu ora non ci sei più. Fa schifo rivedere i posti che per noi sono stati importanti così vuoti e grigi, sfioriti dalla tua mancanza.
In questo periodo ho i pensieri che mi martellano il cervello fino a ridurlo in mille pezzettini. Non riesco proprio a darmi pace, a fermarmi, a prendere il respiro e sedermi per un po'. Passo le notti a sfregare il viso nervosamente e digitare frasi senza senso sulle note del cellulare.
È che ho troppe domande a cui nessuno riuscirà mai a rispondere. Ho dubbi che nessuno risolverà mai. Però mi fanno impazzire lo stesso.
Chissà se morirò domani o tra cent'anni. Me lo chiedo spessissimo, sai? Mi pongo mille quesiti senza mai riuscire a rispondere a mezzo. Lo faccio così, giusto per torturarmi.
A volte mi guardo le tue foto di quel periodo solo per farmi del male. Ci sono giorni in cui quello che è successo mi pesa, altri in cui mi uccide. Ci sono sere che durano anni, perché io ci sto male e la gente non se ne rende nemmeno conto.
Chissà come saremmo ora, se io quel giorno non avessi fatto un passo indietro, se non avessi avuto i soliti inutili dubbi; come starebbero le cose adesso, se io ti avessi anche solo scritto un messaggio quella sera. Magari ti avrei salvato.
Mi è cambiata la vita quel giorno. Mi sarei aspettata di tutto quella mattina, ma non di leggere su un giornale online del cazzo che tu non c'eri più. Alla fine le cose peggiori accadono esattamente come le migliori: quando non ce le aspettiamo. Te lo giuro, in quel momento sono caduta dalle nuvole. E mi sono fatta parecchio male.
Fanculo, ho la testa a puttane ormai. Questa vita è una condanna.
Però che dovrei fare? Quando mi manchi e ho i sensi di colpa? Quando non riesco a pensare ad altro se non di quel pomeriggio passato su una panchina davanti al lago? Quando nessuno qui mi capisce ed io sono costretta a stare in silenzio anche se vorrei urlare a squarciagola il tuo nome? Che devo fa'?
Scrivo di te. E anche quando non scrivo di te, lo dedico a te.
È l'unica cosa che ho, Che. L'unica che mi è rimasta. L'unica in cui posso averti ancora, in cui ti posso vedere, parlare, sfiorare. L'unica in cui riesco a rifugiarmi, a starci meno male. 
L'unica che sono in grado di fare bene, che mi fa sentire meglio, che mi dà speranza. L'unica che ti rende lontanamente onore.
Ma perché proprio a te?
Perché non a quell'altro stronzo?
Perché te e non me?

Comunque il numero tre me lo tatuo, te lo giuro.


07 giugno, 2019

Tre

23/05/2019
Tre. Tre anni. Ti conosco da quando avevo tre anni. Eri il migliore amico di mio fratello, e questo ti faceva diventare quasi come lui, come un secondo fratello ma senza litigi. L'ammirazione che provavo per te penso di non averla più sentita per nessun altro, Che. Sei sempre stato una leggenda in casa mia, e non smetterai mai di esserlo.
I compleanni. Dio, i compleanni di mio fratello. Te le ricordi le ore ed ore passate a combattere con le spade laser di Star Wars? Del robot che sparava dischetti di gomma e dei panini alla nutella di mia madre? E di quando io salivo sul mini-trattore e tu mi spingevi per tutto il giardino? Ero così piccola, così fuori luogo: non facevo altro che intrufolarmi nelle partite di calcetto e infastidire chiunque. A te non te ne è mai fregato un cazzo che fossi più giovane, femmina e pure un po' stupida. Eri l'unico che giocava con me e si preoccupava di farmi divertire e farmi sentirmi parte della festa. Ti è sempre piaciuto aiutare gli ultimi. Forse perché sai come ci si sente. Forse perché eri troppo buono per potertene fregare.
Perdersi di vista dopo è inevitabile, si cambia scuola e si cambiano giri, tu ti sei trasferito ed io sono rimasta qui. Non ci siamo visti per tanto tempo, ma questo non significa che io abbia mai smesso di pensarti o di parlare di te. Non significa che faccia meno male.
Poi sono cresciuta e in un attimo mi sono ritrovata alle superiori, al primo anno di quella scuola che col tempo avrei finito per odiare. È stato un attimo, ho girato l'angolo del corridoio per arrivare in palestra e tu eri lì, appoggiato al calorifero mentre scherzavi con i tuoi compagni. Eri alto il doppio, se non il triplo, con il viso da adulto e l'aria sicura, meno spaesata di quando eri bambino. È bastato uno sguardo per capirsi. Sì, perché nonostante fossi cresciuto, avevi gli stessi occhi di sempre, allegri e rassicuranti, che ti rendevano un riparo durante la tempesta. Me lo ricordo ancora quel pomeriggio a casa, di quanto ero felice di averti visto, "Mamma non sai chi ho trovato".
Non me lo dimentico il tremore per il tuo primo messaggio, qualche giorno dopo esserci visti, e della gioia nel sapere che mi avevi riconosciuta. Mi chiedevi di mio fratello, parlavi di quando eravamo piccoli, di quanto ero cambiata. Quei messaggi li ho persi tutti, abbandonati su un vecchio cellulare rotto: pagherei sofferenze eterne per poterli riavere. Leggere di cosa parlavamo, di tutti i frammenti di infanzia che avevamo ricostruito, di tutte le domande che mi facevi e di quanto io fossi incapace di rispondere.
Sei stato il primo appuntamento. Me lo ricordo ancora. In pullman morivo d'ansia quando ho letto sul cellulare che volevi vedermi. Le mie amiche mi guardavano e ridevano mentre mi sistemavo i capelli e chiedevo mille consigli. Poi quegli infiniti minuti seduta sul pezzo di legno del parco giochi, mentre impazzivo perché eri in ritardo. Quel pomeriggio passato sulla panchina davanti al lago, mentre parlavamo di quando eravamo bambini, te lo giuro, non lo scorderò mai. Del ritratto che volevi farmi, del mio imbarazzo perenne, del senso di protezione che mi davi, di quelle domande che mi lasciavano perplessa. Di quando mi raccontasti della Cambogia e di tutti i viaggi che volevi fare, del mio silenzio mentre parlavi, completamente rapita da ogni tuo piccolo e dolce gesto. Del gioco dei tre baci, Che, quella sarà una cosa che rimarrà per sempre nostra, e me la porterò nel cuore per l'eternità.
Lo so che a volte sono stronza, e forse ho fermato la cosa troppo in fretta, troppo bruscamente, però lo sapevi quanto ti volessi bene. Anche se forse non te l'ho detto, non te l'ho dimostrato abbastanza, non ho fatto quanto potevo. Forse negli ultimi tempi ti sentivi solo ed io avrei potuto esserci per te, aiutarti, proteggerti come facevi tu con me quando eravamo piccoli. Forse se ci fossimo ritrovati ora ci saremmo capiti molto più di quanto avessimo mai fatto.
Non sei solo la notizia su un giornale di paese. Non sei una tragedia del venerdì sera. Non sei solo un fiore strappato da un bambino capriccioso nel pieno della primavera. Non lo sei, Che. Non sei un poverino ucciso da uno stronzo ubriaco. Non sei un messaggio di addio lasciato su quel maledetto ciglio della strada. Non sei cenere.
Per me sei stato tanto, tanto di più. Un fratello, un amico, un amore. Una casa. E lo giuro su tutto ciò che ho, su ogni singola minuscola cosa: non ti dimentico.

"E senza dire parole, nel mio cuore ti porterò"
Il tuo funerale è tre anni esatti dopo il primo messaggio che mi hai inviato. Tre anni. Come quelli che avevo quando ti ho conosciuto. 
Non ti perdonerò mai per essertene andato così. Mai.


01 maggio, 2019

Stefano Cucchi morto di Stato

“Sono Cucchi Stefano, nato a Roma il primo ottobre 1978”
Giorni. Innumerevoli lunghi giorni che ho in testa questa frase in loop. Non importa cosa io stia facendo o pensando, l’immagine di Stefano scarno e pieno di lividi non mi dà pace. Non lo so perché. Non lo conoscevo: non era mio amico né mio parente, eppure è come se lo fosse stato.
Sarà che io sono sempre troppo sensibile, troppo empatica, non so regolare i sentimenti e alla fine mi ritrovo sempre a soffrire quanto i presi in causa. Sarà che in un paese moderno è assurdo pensare che lo Stato uccida i propri cittadini, e che poi insabbi tutto, non ammettendo la presenza di un problema che, però, c’è, e si sente. Sarà che sento sempre mie le battaglie di altri, ma forse è giusto così, perché se toccano uno, toccano tutti. E se Stefano è morto non è solo colpa delle botte, ma dell’indifferenza, del menefreghismo generale che lo ha lasciato solo come un cane. Il minimo che possiamo fare ora è combattere per lui. Si sono fatti tutti i cazzi propri quando era vivo, non succederà anche ora, anche da morto.
Notti. Mille infinite notti in cui sogno Stefano. Chiudo gli occhi e boom, ho il suo viso davanti a me e mi guarda come a supplicarmi di fare qualcosa. Si alternano le immagini di lui giovane e sorridente, a quelle piene di ecchimosi, magro e solo. È una storia che mi perseguita, mi divora da dentro e, sinceramente, non mi capacito di come facciano gli altri a non sentirsi come me. Sarà che sono più empatia che corpo, e che proprio non ci riesco a fregarmene delle cose, figuriamoci delle persone. Sarà che quel ragazzo mi ha conquistato: così minuto e fragile, con gli occhioni grandi e il sorriso perenne, ma come si fa a odiarlo? Come si fa a riempirlo di calci senza fermarsi, anche se è piccolo e indifeso come un cucciolo senza madre?  Sarà che solo chi vive di odio, di violenza e di merda può voltarsi dall’altra parte in una storia così. Sarà che nel mondo è pieni di gente fuori di testa e alla fine uno ci fa quasi l’abitudine alla mancanza d’amore, ma non è normale cazzo. Non è normale che ognuno guardi per sé, che nessuno aiuti l’altro, che la gente viva la propria intera vita senza alcun tipo di sentimento positivo, di buona azione verso il prossimo.
Sarà che il pensiero di cosa possa aver provato quel povero ragazzo nei suoi ultimi giorni mi percuote la mente come una campana a mezzogiorno. Sarà che tutti noi nella nostra vita conosciamo uno Stefano Cucchi, un mezzo angelo e mezzo demone, uno a cui potrebbe succedere la stessa cosa. Non ci pensi, non credi che possa succedere, e invece il giorno dopo ti alzi e potresti ritrovarti in un vortice del genere. Ma chi cazzo ha la forza di Ilaria? Chi riesce a restare in piedi quando tutti ti spingono via? Quale foglia riesce a restare attaccata al suo ramo quando l’autunno incombe?
Sarà che Ste era un cristallo, apparentemente così duro, forte, invidiato da chi non lo possedeva, ma bastava che scivolasse dalle mani per cadere in mille pezzi e boom, frantumarsi in polvere dispersa nell’aria. Sarà che i cristalli sono rari e solo chi se ne intende riesce a riconoscerli e a curarli come meritano.
Sarà che lui mi ricorda te. Entrambi con quell’oscura ombra che vi perseguita ovunque andiate, che vi fa passare le notti svegli a fissare il soffitto della vostra cameretta, che  vi fa perdere nel cercare voi stessi in un labirinto senza uscita. Sarà che ho una paura fottuta che possa succederti la stessa cosa, che io possa perderti così, senza nemmeno poterti vedere o parlare. Senza nemmeno sapere per quale cazzo di motivo sei morto. 
È assurda ‘sta storia. Eppure è successa, molte troppe infinite volte. 
E mi fa smattare cazzo.

Comunque tutti si meriterebbero una sorella come Ilaria Cucchi. Perché ne basta uno buono su mille cattivi per cambiare le cose.
Ste, sei stato sfortunato, ma diciamocelo, su questo c’hai avuto un gran culo.


dal sito ufficiale dell'associazione Stefano Cucchi, Murales a Taranto


L'ultimo bacio

"Mille violini suonati dal vento L'ultimo abbraccio, mia amata bambina Nel tenue ricordo di una pioggia d'argento Il senso s...

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