Delle solite strade, dei soliti
odori, delle stesse voci di sempre, delle notti passate a pensare e pensare,
dei soliti jeans, delle solite persone.
Stanca del tempo che passa e di
dovergli correre dietro senza mai rallentare, di chi se ne va per sempre, di
chi rimane ma non è più lo stesso di prima.
Delle solite canzoni, tristi e
malinconiche, e di piangere lacrime assai salate per dei sogni troppo dolci.
Stanca dei segreti, di dovermene
stare zitta e tenermi tutto dentro, di chiedere scusa anche quando non è colpa
mia, di dover seguire regole che né comprendo né condivido.
Delle persone noiose, di quelle che
non gioiscono né danzano mai, delle banalità, delle frasi scontate e delle scelte
prevedibili.
Di lui, della sua voce, del suo modo
di camminare, del suo credersi migliore e convincere anche me, di immaginare ciò che mai
saremo.
Ero stanca di dovermi sempre
mantenere in equilibrio su una corda che si rimpiccioliva sempre più,
nonostante i pugni e le spinte, e non poter cadere mai.
Volevo solo vivere, ridere, ballare,
scrivere, viaggiare; volevo trovare del colore in mezzo a tutto quel grigio.
Invece mi ritrovai imprigionata in un
limbo di eterna apatia, monotonia, indifferenza: un infinito gelo che mi uccideva
lentamente.
Ero convinta di non poter mai provare
la sensazione di vivere davvero, di non raggiungere il mio nirvana, di non riuscire
a colorare il mio mondo.
Mi sentivo come una lucciola
intrappolata in un barattolo: non importava quanto fossi forte e luminosa, se
nessuno si fosse affrettato ad aprire il coperchio, mi sarei spenta per sempre.