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Mary Loú Hill. Peace, love, empathy.

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30 novembre, 2019

Rumore

Ho smesso di preoccuparmi di cosa pensano gli altri da un po’ ormai, più o meno da quando mi sono resa conto di quanto sia breve e irrazionale la vita. Di quante pare ci facciamo senza renderci conto che un giorno saremo polvere, e non importerà più a nessuno se a quella festa abbiamo indossato un vestito fuori moda o se all’interrogazione di matematica abbiamo fatto scena muta. Se abbiamo scritto a quel ragazzo invece di aspettare che lo facesse lui.
Ho smesso di preoccuparmi dell’inutile, non dopo aver visto quanto le cose possano cambiare da un momento all’altro. Quanto sia difficile rimanere a galla mentre si sta affogando in un oceano di lacrime. Non dopo aver visto morire gente troppo giovane, troppo buona, troppo innocente.
Cerco di godermi le piccole cose belle perché so che tra poco tutto svanirà, ed io non sarò più la stessa di prima. La calma finirà, cambieranno parecchie cose, e tutto ciò che ho ora, un giorno non lo avrò più.
Lo vedo negli occhi di mia madre ogni mattina, con il volto ormai invecchiato di dieci anni, mentre fa i conti con il malore di questa estate, che non la farà più tornare come prima. Lo vedo nel viso dell’unico ragazzo che io abbia mai amato in vita mia, ormai segnato dai tormenti e dall’oscurità del vicolo cieco che ha scelto di prendere. Lo vedo sul mio corpo ogni volta che mi specchio, la mattina presto o la sera prima di andare a dormire: ho tutto scritto addosso. L’ansia, la paranoia, i tremori, le paure, i pianti, le delusioni, la frenetica ricerca di attenzioni vane, il pensiero costante di perdere chi amo. La mia cazzo di testa che non smette mai di funzionare, nemmeno quando dormo. 
Ho gli incubi ogni santa volta che chiudo gli occhi, ogni cazzo di volta: sogno chi ormai non c’è più, illudendomi di averli ancora accanto a me, per poi svegliarmi di colpo e ricordarmi, sempre e per sempre, la dura verità. È un periodo in cui mi sento follemente felice e profondamente triste allo stesso tempo. Come quando vinci un premio ma in cuor tuo sai di non meritarlo, e allora ti rimanere quel gusto amaro in bocca per giorni interi. 
Sono andata ad un concerto che sognavo da tempo, ho conosciuto tantissima gente, mi sono innamorata di due occhi blu che non ho più rivisto, ho cantato a squarciagola e saltato tutta notte. Poi sono andata a ballare mille volte, ho preso tanti bei voti a scuola, ho anche conosciuto un ragazzo che è gentile e pacifico come lo desidera ogni madre per la propria figlia. 
Eppure mi manca qualcosa. Vorrei sentirmi libera una volta tanto, sbloccarmi, distruggere le catene che frenano il mio cervello. Ci sono sere che mi sento spenta, come cenere abbandonata sull’asfalto freddo di qualche cittadina anonima. Altre notti ho un fuoco dentro, che mi brucia viva lacerandomi la pelle.
Ho diciotto anni, ma spesso me ne sento trenta in più. Vorrei godermi le cose con spensieratezza, ma non ne sono proprio capace. Più ci provo e più peggioro. Forse ci sono persone che non sono fatte per vivere tranquille in questo mondo, e da un lato sono grata di non essere come gli altri. 
Però a volte, nel profondo del mio cuore, vorrei poter respirare a pieni polmoni e godermi il momento senza pensare ad altro. Vorrei tornare a prima che te ne andassi.

25 settembre, 2019

La paura

Ormai ho così tante paure da non riuscire nemmeno a tenerne il conto. 
Ho paura di non realizzarmi, di finire a trent’anni a lavorare in un fast food perché non sono stata in grado di arrivare in alto. Ho paura di passare la vita in questa merda di città, senza avere mai le palle di scappare e ricominciare da capo. 
Ho paura di non innamorarmi mai, di non incontrare nessuno che riesca ad affascinarmi veramente, a farmi battere il cuore con un solo sguardo anche dopo vent’anni di matrimonio. Ho paura di perdere le persone che amo, di vederle soffrire, di guardarle dall’alto mentre dormono per l’eterno in una cazzo di scatola di legno. Ho paura di perdere l’amore della mia vita senza essere mai riuscita a dirglielo, passando la mia intera esistenza a rimpiangere di non averlo fatto.
Ho paura di morire. Forse è infantile, un po’ banale, ma mi ossessiona. Ho paura di andarmene non riuscendo a raggiungere nemmeno mezzo sogno, lasciando che il mondo vada avanti senza di me. Ne ho vista troppa di gente giovane morire in un attimo, mi è impossibile non pensarci. Forse il fatto di avere Che come sfondo del mio telefono non aiuta, visto che mi sbatte in faccia ad ogni ora del giorno che aveva 22 fottuti anni ed ora non c’è più.
Ho paura che il mondo finisca, gettandoci tutti quanti nel nulla più totale, e con noi i nostri sentimenti, le nostre intere vite e quelle di chi amiamo. Anche se prima o poi succederà, è inevitabile. Però quanto cazzo fa paura tornare ad essere niente?  Non poter più pensare, parlare o provare amore? Ma come fa la gente ad essere così tranquilla pur sapendo che sicuramente un giorno morirà?
Non posso fare altro che cercare di ignorare questi pensieri bui che mi divorano distraendomi in inutili passatempi. Cerco di ingannare me stessa perdendomi in impegni vani, studiando, scrivendo, camminando, fermandomi ogni tanto e guardandomi intorno per imprimere nella mia memoria ciò che vedo.
Vorrei provare a vivere una vita piena di avventure, senza limiti o regole, cercando di fare tutte le esperienze possibili: vorrei andare a mille concerti, visitare ogni angolo di questo mondo, ridere a crepapelle milioni di volte, ballare sotto la pioggia, dare infiniti baci. Voglio arrivare ad essere stufa della vita perché ho fatto tutto ciò che era possibile fare; ma non è facile. 
Siamo così tanto legati a ciò che la società moderna ci impone che le catene ce le siamo create da soli ed esistono esclusivamente nella nostra testa. Se dovessero liberarci, non sapremmo nemmeno dove andare e non ci muoveremmo di un millimetro. Come un neonato spaesato nel non trovare la propria madre.
È che proprio non capisco perché non posso fare come mi pare: perché mentre sono a lezione non posso semplicemente alzarmi ed uscire da scuola, prendere un treno e andare a visitare qualche bella città? Perché non posso zittire i mostri nella mia mente bevendo Martini fino a dimenticare perfino come mi chiamo? Perché non posso conoscere il tipo che trappa nelle mie cuffiette? È bello, è sboccato, è sregolato, perché non posso averlo? Perché non posso urlare a squarciagola per le strade che questo mondo è ingiusto? Se mi va di farlo, perché non dovrei? 
Siamo tutti degli oppressi, e fortunato è chi non se ne rende conto. Perché così non impazzisce, cazzo. Chi capisce l’assurdità dei limiti dell’uomo, della vita e della morte, è destinato alla tristezza eterna. Perché se sei consapevole di quanto tutto sia effimero e illusorio, non riesci più a goderti le cose. Non riesci più ad essere felice. Come un soldato che dopo essere tornato dalla guerra non ha più tregua nella testa, segnato per sempre da ciò che ha visto.
La paura mi sta bruciando viva. Non lo capisci, se non lo vivi non lo capisci. Non puoi immedesimarti, non è una cosa che si può anche solo lontanamente immaginare. Non sai com’è avere l’angoscia di chiudere gli occhi per la paranoia di non poterli riaprire più. Non sai cos’è il panico, se non hai mai avuto un vero attacco, di quelli che ti soffocano. Nello stesso modo in cui un giovane non sa cos’è un cuore spezzato finché non si è innamorato per davvero.
Non faccio altro che camminare per la strada di questa città grigia e desolata alla ricerca di qualcosa che non conosco ancora e non trovo. Probabilmente non la troverò mai. Forse è questo che mi fa più paura di tutto il resto. Non trovare ciò che cerco. Non capire cosa cerco. Non sapere di cosa ho bisogno. 
Ma è la vita, no? Funziona così, non c’è via d’uscita. Prima o poi finisce. Ed è l’unica cosa a questo mondo che è uguale per tutti. Ma non mi tranquillizza lo stesso. Anzi, mi angoscia ancora di più.

22 agosto, 2019

Sotto il diluvio

Primo incontro: 22 agosto 2016 

Non ho mai guardato nessuno
Come guardo te sotto il diluvio
Sempre bello ma mai lucido
Innamorata del tuo sorriso stupido
Sei una poesia di Ovidio
Io ti darei tutto e subito
Sei sempre stato il solo e unico
Il mio più prezioso rifugio
Io e te sotto il cielo di luglio
Non ti ho mai detto di no
Dalle sigarette rubate all'accendino

Non ho mai guardato nessuno
Come guardo te sotto il diluvio
Piango ad ogni plenilunio
Ti porterei fino a Mercurio
Ormai vivo sempre in bilico
siamo soli e tristi come un brano malinconico
Oggi ti ho visto allegro come al solito
Lo sguardo sempre un po' timido
Nel mio stomaco c'era il delirio
E sai mi sei mancato tanto amore mio
Quando non ci sei tutto è buio


29 luglio, 2019

La notte

Ci sono sere che impazzisco, ti vedo ovunque, mi perseguiti come se fossi la mia stessa ombra. Ci sono notti lunghe come anni, in cui non riesco manco a dormire per la paura di non svegliarmi più. Ho un mostro nello stomaco che mi sta divorando piano piano e nessuno se ne accorge.
Vivo con la corda del tuo ricordo che mi stringe il collo sempre di più, fino a strozzarmi. Vaffanculo, Che. Mi hai lasciato sola in un mare di merda ed io manco so nuotare. 
In questo periodo ho certi pensieri che mi fottono in cervello, mi fanno venire idee strane, contorte, scorrette, eppure così affascinanti. La mente non mi si spegne mai, nemmeno per un secondo. Non si ferma, non riesco nemmeno a tenere il fiato, talmente va veloce. 
Ho la testa di una persona che vuole scalare il mondo imprigionata nel corpo di una che ha paura di tutto. Questo posto è la mia cella e i fantasmi nel mio cervello fanno da sbarre. La chiave dev'essersi smarrita in un oceano di lacrime.
Sapessi del panico di ogni volta che salgo su una macchina, con le gambe perennemente tese e gli occhi che controllano ogni cosa. Sapessi dell'attacco che ho avuto l'altra sera, mentre stavo su un treno desolato e all'improvviso mi sono ritrovata persa nel buio. Sapessi di quanto sono diventata paranoica, per il timore di perdere qualcun altro. 
Lo so, mi sono ridotta male. Colpa tua. E di sto schifo di posto che non mi fa respirare. Colpa mia che non riesco a voltare pagina.
È estate e già mi viene da piangere a pensare di ritornare in quella scuola, dove ogni cosa mi ricorda te e di come ci siamo reincontrati. E ogni cazzo di giorno mi sbatte in faccia che tu ora non ci sei più. Fa schifo rivedere i posti che per noi sono stati importanti così vuoti e grigi, sfioriti dalla tua mancanza.
In questo periodo ho i pensieri che mi martellano il cervello fino a ridurlo in mille pezzettini. Non riesco proprio a darmi pace, a fermarmi, a prendere il respiro e sedermi per un po'. Passo le notti a sfregare il viso nervosamente e digitare frasi senza senso sulle note del cellulare.
È che ho troppe domande a cui nessuno riuscirà mai a rispondere. Ho dubbi che nessuno risolverà mai. Però mi fanno impazzire lo stesso.
Chissà se morirò domani o tra cent'anni. Me lo chiedo spessissimo, sai? Mi pongo mille quesiti senza mai riuscire a rispondere a mezzo. Lo faccio così, giusto per torturarmi.
A volte mi guardo le tue foto di quel periodo solo per farmi del male. Ci sono giorni in cui quello che è successo mi pesa, altri in cui mi uccide. Ci sono sere che durano anni, perché io ci sto male e la gente non se ne rende nemmeno conto.
Chissà come saremmo ora, se io quel giorno non avessi fatto un passo indietro, se non avessi avuto i soliti inutili dubbi; come starebbero le cose adesso, se io ti avessi anche solo scritto un messaggio quella sera. Magari ti avrei salvato.
Mi è cambiata la vita quel giorno. Mi sarei aspettata di tutto quella mattina, ma non di leggere su un giornale online del cazzo che tu non c'eri più. Alla fine le cose peggiori accadono esattamente come le migliori: quando non ce le aspettiamo. Te lo giuro, in quel momento sono caduta dalle nuvole. E mi sono fatta parecchio male.
Fanculo, ho la testa a puttane ormai. Questa vita è una condanna.
Però che dovrei fare? Quando mi manchi e ho i sensi di colpa? Quando non riesco a pensare ad altro se non di quel pomeriggio passato su una panchina davanti al lago? Quando nessuno qui mi capisce ed io sono costretta a stare in silenzio anche se vorrei urlare a squarciagola il tuo nome? Che devo fa'?
Scrivo di te. E anche quando non scrivo di te, lo dedico a te.
È l'unica cosa che ho, Che. L'unica che mi è rimasta. L'unica in cui posso averti ancora, in cui ti posso vedere, parlare, sfiorare. L'unica in cui riesco a rifugiarmi, a starci meno male. 
L'unica che sono in grado di fare bene, che mi fa sentire meglio, che mi dà speranza. L'unica che ti rende lontanamente onore.
Ma perché proprio a te?
Perché non a quell'altro stronzo?
Perché te e non me?

Comunque il numero tre me lo tatuo, te lo giuro.


07 giugno, 2019

Tre

23/05/2019
Tre. Tre anni. Ti conosco da quando avevo tre anni. Eri il migliore amico di mio fratello, e questo ti faceva diventare quasi come lui, come un secondo fratello ma senza litigi. L'ammirazione che provavo per te penso di non averla più sentita per nessun altro, Che. Sei sempre stato una leggenda in casa mia, e non smetterai mai di esserlo.
I compleanni. Dio, i compleanni di mio fratello. Te le ricordi le ore ed ore passate a combattere con le spade laser di Star Wars? Del robot che sparava dischetti di gomma e dei panini alla nutella di mia madre? E di quando io salivo sul mini-trattore e tu mi spingevi per tutto il giardino? Ero così piccola, così fuori luogo: non facevo altro che intrufolarmi nelle partite di calcetto e infastidire chiunque. A te non te ne è mai fregato un cazzo che fossi più giovane, femmina e pure un po' stupida. Eri l'unico che giocava con me e si preoccupava di farmi divertire e farmi sentirmi parte della festa. Ti è sempre piaciuto aiutare gli ultimi. Forse perché sai come ci si sente. Forse perché eri troppo buono per potertene fregare.
Perdersi di vista dopo è inevitabile, si cambia scuola e si cambiano giri, tu ti sei trasferito ed io sono rimasta qui. Non ci siamo visti per tanto tempo, ma questo non significa che io abbia mai smesso di pensarti o di parlare di te. Non significa che faccia meno male.
Poi sono cresciuta e in un attimo mi sono ritrovata alle superiori, al primo anno di quella scuola che col tempo avrei finito per odiare. È stato un attimo, ho girato l'angolo del corridoio per arrivare in palestra e tu eri lì, appoggiato al calorifero mentre scherzavi con i tuoi compagni. Eri alto il doppio, se non il triplo, con il viso da adulto e l'aria sicura, meno spaesata di quando eri bambino. È bastato uno sguardo per capirsi. Sì, perché nonostante fossi cresciuto, avevi gli stessi occhi di sempre, allegri e rassicuranti, che ti rendevano un riparo durante la tempesta. Me lo ricordo ancora quel pomeriggio a casa, di quanto ero felice di averti visto, "Mamma non sai chi ho trovato".
Non me lo dimentico il tremore per il tuo primo messaggio, qualche giorno dopo esserci visti, e della gioia nel sapere che mi avevi riconosciuta. Mi chiedevi di mio fratello, parlavi di quando eravamo piccoli, di quanto ero cambiata. Quei messaggi li ho persi tutti, abbandonati su un vecchio cellulare rotto: pagherei sofferenze eterne per poterli riavere. Leggere di cosa parlavamo, di tutti i frammenti di infanzia che avevamo ricostruito, di tutte le domande che mi facevi e di quanto io fossi incapace di rispondere.
Sei stato il primo appuntamento. Me lo ricordo ancora. In pullman morivo d'ansia quando ho letto sul cellulare che volevi vedermi. Le mie amiche mi guardavano e ridevano mentre mi sistemavo i capelli e chiedevo mille consigli. Poi quegli infiniti minuti seduta sul pezzo di legno del parco giochi, mentre impazzivo perché eri in ritardo. Quel pomeriggio passato sulla panchina davanti al lago, mentre parlavamo di quando eravamo bambini, te lo giuro, non lo scorderò mai. Del ritratto che volevi farmi, del mio imbarazzo perenne, del senso di protezione che mi davi, di quelle domande che mi lasciavano perplessa. Di quando mi raccontasti della Cambogia e di tutti i viaggi che volevi fare, del mio silenzio mentre parlavi, completamente rapita da ogni tuo piccolo e dolce gesto. Del gioco dei tre baci, Che, quella sarà una cosa che rimarrà per sempre nostra, e me la porterò nel cuore per l'eternità.
Lo so che a volte sono stronza, e forse ho fermato la cosa troppo in fretta, troppo bruscamente, però lo sapevi quanto ti volessi bene. Anche se forse non te l'ho detto, non te l'ho dimostrato abbastanza, non ho fatto quanto potevo. Forse negli ultimi tempi ti sentivi solo ed io avrei potuto esserci per te, aiutarti, proteggerti come facevi tu con me quando eravamo piccoli. Forse se ci fossimo ritrovati ora ci saremmo capiti molto più di quanto avessimo mai fatto.
Non sei solo la notizia su un giornale di paese. Non sei una tragedia del venerdì sera. Non sei solo un fiore strappato da un bambino capriccioso nel pieno della primavera. Non lo sei, Che. Non sei un poverino ucciso da uno stronzo ubriaco. Non sei un messaggio di addio lasciato su quel maledetto ciglio della strada. Non sei cenere.
Per me sei stato tanto, tanto di più. Un fratello, un amico, un amore. Una casa. E lo giuro su tutto ciò che ho, su ogni singola minuscola cosa: non ti dimentico.

"E senza dire parole, nel mio cuore ti porterò"
Il tuo funerale è tre anni esatti dopo il primo messaggio che mi hai inviato. Tre anni. Come quelli che avevo quando ti ho conosciuto. 
Non ti perdonerò mai per essertene andato così. Mai.


01 maggio, 2019

Stefano Cucchi morto di Stato

“Sono Cucchi Stefano, nato a Roma il primo ottobre 1978”
Giorni. Innumerevoli lunghi giorni che ho in testa questa frase in loop. Non importa cosa io stia facendo o pensando, l’immagine di Stefano scarno e pieno di lividi non mi dà pace. Non lo so perché. Non lo conoscevo: non era mio amico né mio parente, eppure è come se lo fosse stato.
Sarà che io sono sempre troppo sensibile, troppo empatica, non so regolare i sentimenti e alla fine mi ritrovo sempre a soffrire quanto i presi in causa. Sarà che in un paese moderno è assurdo pensare che lo Stato uccida i propri cittadini, e che poi insabbi tutto, non ammettendo la presenza di un problema che, però, c’è, e si sente. Sarà che sento sempre mie le battaglie di altri, ma forse è giusto così, perché se toccano uno, toccano tutti. E se Stefano è morto non è solo colpa delle botte, ma dell’indifferenza, del menefreghismo generale che lo ha lasciato solo come un cane. Il minimo che possiamo fare ora è combattere per lui. Si sono fatti tutti i cazzi propri quando era vivo, non succederà anche ora, anche da morto.
Notti. Mille infinite notti in cui sogno Stefano. Chiudo gli occhi e boom, ho il suo viso davanti a me e mi guarda come a supplicarmi di fare qualcosa. Si alternano le immagini di lui giovane e sorridente, a quelle piene di ecchimosi, magro e solo. È una storia che mi perseguita, mi divora da dentro e, sinceramente, non mi capacito di come facciano gli altri a non sentirsi come me. Sarà che sono più empatia che corpo, e che proprio non ci riesco a fregarmene delle cose, figuriamoci delle persone. Sarà che quel ragazzo mi ha conquistato: così minuto e fragile, con gli occhioni grandi e il sorriso perenne, ma come si fa a odiarlo? Come si fa a riempirlo di calci senza fermarsi, anche se è piccolo e indifeso come un cucciolo senza madre?  Sarà che solo chi vive di odio, di violenza e di merda può voltarsi dall’altra parte in una storia così. Sarà che nel mondo è pieni di gente fuori di testa e alla fine uno ci fa quasi l’abitudine alla mancanza d’amore, ma non è normale cazzo. Non è normale che ognuno guardi per sé, che nessuno aiuti l’altro, che la gente viva la propria intera vita senza alcun tipo di sentimento positivo, di buona azione verso il prossimo.
Sarà che il pensiero di cosa possa aver provato quel povero ragazzo nei suoi ultimi giorni mi percuote la mente come una campana a mezzogiorno. Sarà che tutti noi nella nostra vita conosciamo uno Stefano Cucchi, un mezzo angelo e mezzo demone, uno a cui potrebbe succedere la stessa cosa. Non ci pensi, non credi che possa succedere, e invece il giorno dopo ti alzi e potresti ritrovarti in un vortice del genere. Ma chi cazzo ha la forza di Ilaria? Chi riesce a restare in piedi quando tutti ti spingono via? Quale foglia riesce a restare attaccata al suo ramo quando l’autunno incombe?
Sarà che Ste era un cristallo, apparentemente così duro, forte, invidiato da chi non lo possedeva, ma bastava che scivolasse dalle mani per cadere in mille pezzi e boom, frantumarsi in polvere dispersa nell’aria. Sarà che i cristalli sono rari e solo chi se ne intende riesce a riconoscerli e a curarli come meritano.
Sarà che lui mi ricorda te. Entrambi con quell’oscura ombra che vi perseguita ovunque andiate, che vi fa passare le notti svegli a fissare il soffitto della vostra cameretta, che  vi fa perdere nel cercare voi stessi in un labirinto senza uscita. Sarà che ho una paura fottuta che possa succederti la stessa cosa, che io possa perderti così, senza nemmeno poterti vedere o parlare. Senza nemmeno sapere per quale cazzo di motivo sei morto. 
È assurda ‘sta storia. Eppure è successa, molte troppe infinite volte. 
E mi fa smattare cazzo.

Comunque tutti si meriterebbero una sorella come Ilaria Cucchi. Perché ne basta uno buono su mille cattivi per cambiare le cose.
Ste, sei stato sfortunato, ma diciamocelo, su questo c’hai avuto un gran culo.


dal sito ufficiale dell'associazione Stefano Cucchi, Murales a Taranto


14 febbraio, 2019

Il tempo

Dio, è assurdo pensare come a volte il tempo corra senza che noi ce ne possiamo accorgere. Di come fugga via rubandoci tutto, e quando ce ne rendiamo conto e cerchiamo di rincorrerlo, lui ha già svoltato l’angolo.
Quante volte vorrei tornare indietro nel tempo e rivivermi un determinato ricordo: un singolo piccolo momento, senza cambiarlo, solo per godermelo ancora una volta, lasciandomi cullare tra le ombre del passato.
Tornerei alle estati in campagna, con le mie cugine, quando mi bastava passare il pomeriggio pedalando in bicicletta nei campi o un tuffo nella piscina nel giardino dietro casa per rendere una giornata bella. Di quando avevo poco e mi accontentavo di tutto, perché non conoscevo né il dolore, né i problemi, né le lacrime. Pensavo solo a finire i compiti entro le 4 per poter far merenda, mettermi il costumino rosa e partire per mille avventure con il mio zainetto in spalla.
Tornerei all'ultima volta che ho parlato a mio nonno, quando ero ancora piccola e ingenua, e assaporare ancora un po' quel clima tranquillo ed etereo. Di quando mi promise che dopo qualche giorno sarebbe tornato per darmi il regalo di compleanno, con i suoi soliti scherzi che mi facevano ridere tanto. Alla fine non tornò più. Passai il mio compleanno al suo funerale. Quella volta però, non risi: lo scherzo non mi era piaciuto.
Tornerei a quando ero bambina, e lo erano anche tutti i miei amici, e pensavamo solo a giocare e a colorare i nostri quaderni. A quando passavamo l'intervallo seduti sulla quercia più grande della scuola e immaginavamo il nostro futuro, cosa avremmo fatto, chi saremmo diventati.  Assurdo pensare che ora uno di noi non c'è più. Come si fa a morire a 15 anni? Con tutte le cose che ancora si devono provare. Dio, ho rabbia solo a pensarci. Doveva diventare un cuoco, aprire un suo ristorante stellato, vivere in Sardegna, avere tanti bambini. E invece sono state solo parole al vento, sogni volati via, come stormi di uccelli che scappano da uno sparo. Al suo posto potevo esserci io. Non lo so spiegare come mi fa sentire.
Tornerei al mio primo bacio, a fine terza media, con quel ragazzo scontroso che mi affascinava tanto. Riprovare quel batticuore, quella paura mista a curiosità, quel sorriso stampato in faccia per i tre giorni consecutivi. A quando i ragazzi erano un piacere, non un ostacolo. A quando ero convinta che l'amore fosse così: avere un fuoco nello stomaco che ti scalda sempre.
Tornerei a quell'abbraccio con mia zia, quel pomeriggio d'estate, tra lacrime e dolore, solo per potermi ricordare com'è poterla avere tra le braccia. Non la perdonerò mai per essersene andata lasciando tutta quella merda. Quel giorno ho perso lei e ho perso anche mia mamma. E ho perso tutta quella leggerezza di quando ero piccola. Sono cresciuta, mi sono rimboccata le maniche e sono diventata grande. Ma mi sarebbe piaciuto essere bambina ancora per un po'.
Tornerei a quell'estate in prima superiore, su quella spiaggia di Cadice con le mie amiche e degli sconosciuti, e passare la notte a ridere, ballare e tuffarci e schizzarci tra di noi in riva al mare. Dio, quanto mi sono sentita viva quella sera. Eravamo delle folli, e io mi sentivo bene. Non ho mai più provato quella sensazione di libertà. Volevo vivere così ogni giorno della mia vita, ma alla fine non ci sono riuscita. Non ci si riesce mai.
Dio, sono cambiate così tante cose. Non mi ricordo nemmeno più com'è, essere così felici. Eppure non me ne rendevo conto. Non me li sono goduta abbastanza. Ma come potevo immaginare? Di tutta la merda che sarebbe arrivata? Di tutta quella spensieratezza che non ho più rivisto? Vorrei tornare indietro a quando ero pura, senza il cuore spezzato, solo per sentire ancora una volta com'è essere così. E la costante malinconia di ciò che è passato mi sta consumando come una di quelle sigarette che fumavo sempre con te dopo scuola. 
Eppure, rifarei tutto quanto, mille volte ancora, perché ogni sofferenza ha un senso. E se ho mangiato così tanto fango e sputato così tanto sangue, forse è perché mi aspetta qualcosa di così tanto grande da ripagarmi di tutto. Come quando ti mancano solo pochi metri dal traguardo e stringi i denti per riuscire ad arrivare prima, nonostante i crampi e la nausea.
E Dio, tornerei a quel 22 agosto, in quel locale triste e vuoto dove ti ho visto per la prima volta, e ti parlerei mille volte ancora, e mi innamorerei di te per infinite volte. In tutte le vite alternative che potrei vivere, ti cercherei sempre, in ognuna di queste, senza pensarci. Dal primo giorno in cui ti ho visto non ho mai smesso di pensarti. Non so cosa ci fosse prima di te. Ma non era vita quella. Ho cominciato a respirare solo dopo aver incontrato i tuoi occhi. Della mia vita prima di te, ho solo vuoto, buio, oblio. Tu sei vita. O almeno, lo eri.

P.S. Cambierei solo il giorno in cui te ne sei andato, anche se lo so che hai fatto bene perché quella scuola di merda rovina tutto ciò che di bello c'è a questo mondo. Però mi sono sentita tanto sola. Mi manchi tanto. Ma va bene così, va bene così.


L'ultimo bacio

"Mille violini suonati dal vento L'ultimo abbraccio, mia amata bambina Nel tenue ricordo di una pioggia d'argento Il senso s...

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