A volte
penso che sarebbe stato meglio non averti mai conosciuto e mi chiedo spesso quale
malvagio gioco del destino ci abbia fatto incontrare.
Vorrei non
essere mai uscita quella sera d'estate in pieno agosto, in questa città triste
e deserta mentre cercavo una sosta dal caldo di quei giorni.
Ero solo
stanca, irrequieta, nervosa: uscivo per svagarmi, pensare, trovare ispirazione,
innamorarmi delle cose, dei luoghi, delle persone.
Vorrei non
aver mai indossato quel vestitino a fiori che mi piaceva tanto e che ora non
riesco più nemmeno a guardare, con i capelli legati in una cipolla disordinata,
il mascara sbavato e le labbra rosse e screpolate.
Era la sera
più importante della mia vita e in quel momento nemmeno lo sapevo, come potevo?
Vorrei non
essere mai entrata da McDonald's, esser salita sulla terrazza e ed essermi
seduta al tavolo con la mia amica, fermandomi più del dovuto a bere e parlare.
Poi arrivò
lui, con due amiche, ed era strano rivederlo dopo tanto tempo: era strana la
situazione, in quello sporco locale, ed era strano lui, che mi guardava
dolcemente, mi dava attenzioni e non sputava le solite cattiverie.
E con lui
c'eri tu.
Ero
colpita, soggiogata e appagata fin dal primo momento in cui ho incontrato i
tuoi occhi tondi: scherzavi, fumavi, ridevi e non consideravi nessuno
all'infuori dei tuoi amici.
Avevi una
delle tue solite felpone troppo grandi e troppo scure; ricordo ancora che mi
chiesi come cazzo facessi a resistere al caldo vestito così.
Non so
perché tu fosti così crudele da rivolgermi parola, distruggendo all'istante
ogni mia fragile barriera e intrappolandomi in una prigione che prendeva il tuo
nome.
Volevi solo
che rubassi una sigaretta al mio amico, nel frattempo sedutosi vicino, e mi
addolcisti con un sorrisino furbo, mentre ti sdraiavi dietro di me; come potevo
dirti di no? Come potevo rifiutare un frutto così invitante? Così proibito?
Sfilai la
Chesterfield dal pacchetto senza farmi vedere da nessuno e te la passai sotto
il tavolo, sperando che quello fosse solo il primo di tanti tocchi, pelle
contro pelle.
Ci
guardammo e ci capimmo, ti misi a ridere, colpito e divertito, mentre spettinavi
i tuoi ricci ribelli e mi chiamavi "socia": per te era tutto un
gioco, uno scherzo, per me no.
Mi ritrovai
incantata dal tuo viso più e più volte, non calcolando minimamente il ragazzo
che avevo accanto e che sarebbe dovuto essere il mio più grande amore, come
credevo al tempo.
Poi una telefonata,
un malinteso, e dovetti andar via di corsa, salutando tutti di fretta, non
potendoti approfondire o toccare o assaporare.
Ti sorrisi
e ti osservai a lungo: temevo potesse essere il nostro ultimo incontro e volevo
rubare ogni singolo riflesso della tua bellezza, così da fissarti nella mia
mente sperando di non dimenticarti mai.
Sentivo un
legame, come se fossimo fiori dello stesso albero: c'era intesa e pensavo
bastasse solo quello per poter pensare di averti fatto lo stesso effetto che tu
facevi a me.
Credevo di
non vederti più, ma sappiamo entrambi che le cose sono andate diversamente: ci
siamo visti così tante volte, sono successi così tanti casini, dagli sguardi e
i sorrisi agli insulti e le smorfie per evitare di guardarsi, forse perché se
lo avessimo fatto tutti i nostri muri di carta si sarebbero sgretolati come
antiche sculture greche in rovina.
Mi
dispiace, perché eri puro e sei diventato sporco.
Eri gioia e
sei diventato dolore.
Eri angelo
e sei diventato demone.
Eri amore e
sei diventato indifferenza.
Anche se, alla fine, forse per me tanto indifferente
non lo sei.