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Mary Loú Hill. Peace, love, empathy.

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22 dicembre, 2018

Linee parallele

Eravamo come linee parallele
così stanchi
di andare sempre nella stessa direzione
e quando uno era storto
lo diventava pure l’altro.
Eravamo linee parallele
e ci guardavamo sempre
per ore e ore
senza sfiorarci mai.
Eravamo come linee parallele
e camminavamo sulla stessa strada
fianco a fianco
come gli innamorati solitari.
Eravamo linee parallele
e se un coltello
trafiggeva il petto di uno,
prima o poi
colpiva anche il cuore dell’altro.
Eravamo come linee parallele
identiche tra loro,
sempre così vicine
senza potersi incontrare mai.

(Poi un giorno
siamo stati rette perpendicolari
e ci siamo toccati
in un solo punto
così intensamente
da formare l’infinito.
E poi subito dopo
ci siamo separati,
con la certezza
di non poterci accarezzare
mai più).


26 ottobre, 2018

Torna a casa

E alla fine ti ritrovi a dire addio a tutte le persone che hai amato nella tua vita e doverle abbandonare al loro destino per sempre. Fa male, perché sai che ti dimenticheranno molto prima di quanto lo farai tu e perché hai paura di soffrire così tanto da non riuscire mai più ad essere felice.
È che a volte non vuoi dirglielo questo addio, non riesci proprio a farlo, a pronunciarlo, è troppo. Non ce la fai a guardarlo negli occhi e supplicarlo di non andarsene, non lo accetti, non puoi cambiare pagina e dimenticare tutto quanto in una sola notte. Non si può dimenticare, non quando non hai nient'altro di bello da ricordare.
Come si fa a dire addio quando non hai mai smesso di amare? Quando non hai mai smesso di guardarlo ogni mattina all'entrata di scuola, anche dopo tutta la merda che ti ha tirato addosso? Quando hai sempre fatto in modo che gli andasse tutto bene, che non stesse mai male, che non si sentisse mai solo? Quando ogni giorno uscivi da scuola con due sigarette in mano sperando che volesse fermarsi a parlare e fumare con te come facevate un tempo? Quando lo volevi proteggere da ogni spina delle rose della vita, e ogni ambulanza che sentivi ti faceva entrare in paranoia? Quando vivevi con la paura di vederlo soffrire e alla fine a soffrire ci sei finita tu?
Non ci riesci. Anche se lo vuoi. Non ce la fai. Puoi solo piangere e dimenarti e urlare fino a perdere la voce e sentirti mancare l'aria e avere il cuore pesante come un oceano intero. È come avere una pietra enorme nel petto, che pesa e ti piega fino a spezzarti.
E come fai quando perdi tutti i tuoi punti di riferimento? Quando ti ritrovi completamente fottutamente sola e hai mille giornate di merda tutte insieme? Quando passi le notti in silenzio, in un letto freddo a fissare il vuoto, e a fine giornata hai le labbra screpolate dalle troppe lacrime che hanno solcato le tue guance? Quando la notte non chiudi occhio perché le paure ti divorano, ti consumano?
E poi lo stomaco, tutto contorto, che ogni volta che ti sdrai inizia a farti male, perché a furia di piangere l'hai contratto troppo, e ti senti ancora di più uno schifo perché sei consapevole di starti rovinando. Perché lo sai che stai mandando tutto a puttane, ma sei così tanto distrutta che non te ne frega più un cazzo.
Dio, mi sento così tanto giù, sto toccando il fondo, sto mollando la presa. 
E me ne sto qui fuori, sola, al freddo, con le mani a pugno nelle tasche vuote, a guardare queste case tutte uguali con gli occhi pieni di sogni irraggiungibili, mentre il mio respiro si trasforma in fumo e piango perché ora le cose sono cambiate così tanto e io non riesco ad accettarlo. È tutto così grigio, così triste, cosí vuoto, mi hanno tolto tutto. Mi avete tolto tutto. Mi sono tolta tutto.
Mi mancherai in ogni modo in cui una persona può mancare a un'altra, e ti ringrazierò fino alla morte per avermi regalato i ricordi più belli della mia gioventù. Perché te lo giuro, sei una delle cose più belle che io abbia mai sfiorato. Eri tanto, sei tanto e, anche se ora hai deciso di andartene e non sarai più qui, sarai ancora tanto.
E penso a tutte le volte in cui mi lamentavo perché mi rubavi le sigarette, a quando non riuscivo a dirti di no perché mi facevi gli occhiolini e mi adulavi. Rubamene ancora una, ora, ti prego. Torna a scuola domani, fermami, guardami negli occhi e chiedimene una. Te lo prometto, se ritorni, ti tengo da parte tutte le sigarette che vuoi. Ce le fumiamo all'uscita, e poi scendiamo in stazione con tutti gli altri, e parliamo, scherziamo e ridiamo. E ci passiamo l'accendino mano per mano, ci guardiamo negli occhi e ci diciamo tutto quello che ci è successo in questi mesi e ascoltiamo una di quelle canzoni terribili che ami tanto. Come ai vecchi tempi, te li ricordi? Io sí, molto bene, sono ciò che più si avvicina alla mia idea di felicità. 
Mai come ora ho desiderato di poter tornare indietro nel tempo e rivivere tutto da capo. Perché te lo giuro, rifarei tutto quanto. Nessuna lacrima scesa per te é mai stata sprecata. A dire il vero, niente è stato sprecato se per te. Ti amo ancora come la prima volta che ti ho visto in quella sera d'estate, in quel locale buio a fumare paure e ridere del futuro.
E l'idea che ti rifarai una nuova vita lontano da me e amerai una ragazza che non sono io e la bacerai e la toccherai e le canterai le filastrocche per farla addormentare e accarezzerai i suoi capelli con tutto quell'amore che non mi hai mai dato, mi fa sentire un granello di sabbia nel mezzo di una tempesta. Spero solo che non ti faccia mai sentire come a volte mi sono sentita io con te, perché lo prenderei io il tuo dolore piuttosto che vederti ridotto come cenere di un fuoco ormai spento.
E ora che non ci sei piú hai tolto la poca magia che rimaneva a questo posto, hai cambiato tutto quanto e mi hai costretto a convivere con un incubo che mi sta logorando piano piano. Ogni mattina mi alzo per andare in un posto che odio, con persone che odio a fare qualcosa che odio, ed è così ogni santo maledetto giorno, completamente alienata, come uno di quegli operai di cui parlava Karl Marx. E finisco per detestare tutto quanto, tutti quanti, e mi fa schifo ogni cosa e vedo solo merda, merda e merda.
E vorrei solo urlare e buttare tutto fuori, ma la verità è che è talmente tanto che non ci riesco, come quando giri un vaso e l'acqua è talmente tanta che non riesce ad uscire. È che non ce la faccio, non lo so spiegare come mi sento in questo momento. Nessuna parola renderebbe onore a te e a quello che mi hai dato. Nessuna canzone potrebbe dare la stessa sensazione di tutti questi ricordi che si stanno offuscando. Nessun libro, nessuna frase, nessun film, nessun fiore, nessuna persona. Niente è come te. Nessuno é come te. Come diceva de Montaigne "Perché era lui, perché ero io". Basta. Non c'è nient'altro da spiegare. Non lo si può spiegare. Tu eri tu.

P.S. una sigaretta ogni tre mesi, te lo ricordi? Ho fatto il conto, te ne devo cinque. Se le tengo da parte, torni?

10 agosto, 2018

La paura di dimenticare

24 / 07 / 2018
Non mi faceva paura dirgli addio e non vederlo mai più o voltare pagina o non riuscire ad amare ancora qualcuno nello stesso modo in cui amavo lui.
Ma avevo il terrore di dimenticare il suo viso, i suoi occhi neri, i suoi sguardi, la forma dei suoi ricci quando si asciugavano al sole dopo un bagno in piscina, le linee delle sue labbra, la sua pelle abbronzata e il pizzicare della sua barba accennata ad ogni bacio.
Non volevo dimenticarmi della sensazione di toccarlo, delle sue guance morbide arrossate dal caldo e dalla timidezza, del suo modo di camminare a piccoli passi e con le spalle dritte, del suo modo di incazzarsi e far incazzare anche me, del suo broncio quando era stanco o nervoso.
Di dimenticare i piccoli gesti, le carezze, i sorrisi, di non ricordare più i nostri discorsi, le sue parole dolci e le frasi maliziose, la sua risata sfacciata, la sua voce così pura e limpida per uno come lui.
Di quando passavamo le serate a stare appiccicati, con il suo respiro sul collo e le gambe intrecciate alle mie, di come guardavamo le stelle e scappavamo dagli insetti che ci infastidivano, del silenzio assordante di quando mi addormentavo sul suo petto.
Dell'imbarazzo della prima volta che le sue dita sfiorarono la mia pelle, del modo in cui mi fece rabbrividire, come se fossi stata nuda su un lembo di ghiaccio, di quella notte nella sua camera al terzo piano di quell'hotel lussuoso.
Di dimenticare quanto l'ho desiderato, di come lo cercavo ogni volta che potevo, del modo in cui lo pensavo e lo guardavo, di trovare qualcun'altro che potesse cambiare ciò che provavo per lui, che potesse distogliermi dalla mia sofferenza.
Di quanto mi ha cambiato la vita, di come mi sentivo diversa appena sono arrivata a casa con la valigia piena e il cuore vuoto, del modo in cui ogni problema si fosse azzerato dopo quella vacanza, come se prima di lui non fossi mai esistita, ero una fenice appena risorta dalle proprie ceneri.
Non volevo dimenticare il batticuore della prima volta che l'ho visto né le lacrime di quando gli ho detto addio in quell'aeroporto deserto, di quella malinconia amara appena sparì dietro l'angolo, di quanto ero persa nell'eterno dolore di ciò che mai realmente fu.
Non lo voglio dimenticare, anche se non ha nome, anche se è durato tutto così poco e non me ne sono nemmeno resa conto, anche se cercarlo ormai è invano.
Ti prego, non mi dimenticare nemmeno tu, ne morirei.
Ma forse già lo hai fatto, mi sento così spenta.


22 giugno, 2018

Chiamami col tuo nome

“Al posto tuo, se il dolore c'è, lo farei sfogare, e se la fiamma è accesa, non la spegnerei. Chiudersi in se stessi può essere una cosa terribile quando ci tiene svegli di notte, e vedere che gli altri ci dimenticano prima di quanto vorremmo non è tanto meglio. 
Rinunciamo a tanto di noi per guarire più in fretta del dovuto, che finiamo in bancarotta a trent'anni, e ogni volta che ricominciamo con una persona nuova abbiamo meno da offrire. Ma non provare niente per non rischiare di provare qualcosa... che spreco!”
- Andrè Aciman, Call me by your name




17 giugno, 2018

Il destino

A volte penso che sarebbe stato meglio non averti mai conosciuto e mi chiedo spesso quale malvagio gioco del destino ci abbia fatto incontrare.
Vorrei non essere mai uscita quella sera d'estate in pieno agosto, in questa città triste e deserta mentre cercavo una sosta dal caldo di quei giorni. 
Ero solo stanca, irrequieta, nervosa: uscivo per svagarmi, pensare, trovare ispirazione, innamorarmi delle cose, dei luoghi, delle persone.
Vorrei non aver mai indossato quel vestitino a fiori che mi piaceva tanto e che ora non riesco più nemmeno a guardare, con i capelli legati in una cipolla disordinata, il mascara sbavato e le labbra rosse e screpolate. 
Era la sera più importante della mia vita e in quel momento nemmeno lo sapevo, come potevo?
Vorrei non essere mai entrata da McDonald's, esser salita sulla terrazza e ed essermi seduta al tavolo con la mia amica, fermandomi più del dovuto a bere e parlare.
Poi arrivò lui, con due amiche, ed era strano rivederlo dopo tanto tempo: era strana la situazione, in quello sporco locale, ed era strano lui, che mi guardava dolcemente, mi dava attenzioni e non sputava le solite cattiverie.
E con lui c'eri tu.
Ero colpita, soggiogata e appagata fin dal primo momento in cui ho incontrato i tuoi occhi tondi: scherzavi, fumavi, ridevi e non consideravi nessuno all'infuori dei tuoi amici. 
Avevi una delle tue solite felpone troppo grandi e troppo scure; ricordo ancora che mi chiesi come cazzo facessi a resistere al caldo vestito così.
Non so perché tu fosti così crudele da rivolgermi parola, distruggendo all'istante ogni mia fragile barriera e intrappolandomi in una prigione che prendeva il tuo nome.
Volevi solo che rubassi una sigaretta al mio amico, nel frattempo sedutosi vicino, e mi addolcisti con un sorrisino furbo, mentre ti sdraiavi dietro di me; come potevo dirti di no? Come potevo rifiutare un frutto così invitante? Così proibito?
Sfilai la Chesterfield dal pacchetto senza farmi vedere da nessuno e te la passai sotto il tavolo, sperando che quello fosse solo il primo di tanti tocchi, pelle contro pelle.
Ci guardammo e ci capimmo, ti misi a ridere, colpito e divertito, mentre spettinavi i tuoi ricci ribelli e mi chiamavi "socia": per te era tutto un gioco, uno scherzo, per me no.  
Mi ritrovai incantata dal tuo viso più e più volte, non calcolando minimamente il ragazzo che avevo accanto e che sarebbe dovuto essere il mio più grande amore, come credevo al tempo.
Poi una telefonata, un malinteso, e dovetti andar via di corsa, salutando tutti di fretta, non potendoti approfondire o toccare o assaporare.
Ti sorrisi e ti osservai a lungo: temevo potesse essere il nostro ultimo incontro e volevo rubare ogni singolo riflesso della tua bellezza, così da fissarti nella mia mente sperando di non dimenticarti mai.
Sentivo un legame, come se fossimo fiori dello stesso albero: c'era intesa e pensavo bastasse solo quello per poter pensare di averti fatto lo stesso effetto che tu facevi a me.
Credevo di non vederti più, ma sappiamo entrambi che le cose sono andate diversamente: ci siamo visti così tante volte, sono successi così tanti casini, dagli sguardi e i sorrisi agli insulti e le smorfie per evitare di guardarsi, forse perché se lo avessimo fatto tutti i nostri muri di carta si sarebbero sgretolati come antiche sculture greche in rovina.
Mi dispiace, perché eri puro e sei diventato sporco. 
Eri gioia e sei diventato dolore. 
Eri angelo e sei diventato demone. 
Eri amore e sei diventato indifferenza.
Anche se, alla fine, forse per me tanto indifferente non lo sei.

29 aprile, 2018

È che ci credo troppo

Il mio problema è che ci credo troppo.
Nella giustizia, nell’equilibrio, nell’armonia eterea, nell’amore travolgente e drammatico, nelle canzoni mielate, nelle persone.
Nella libertà, nella ribellione, nella forza di opporsi e dire “no”, nei folli irrequieti, nei poeti maledetti e le loro deliranti storie.
Credo nella passione, nel sesso, nei morsi che lasciano il segno, nelle liti feroci, negli schiaffi, nei baci dolci, nelle lacrime salate.
Nei romanzi introspettivi, nelle fotografie malinconiche, nei monologhi disperati, nella nostalgia degli anziani, nei film di Terrence Malick.
Ogni giorno apro gli occhi e spero in una bella giornata, in una qualche sorpresa, in un mondo migliore, in una rivoluzione di sognatori, in una pace eterna.
Mi guardo allo specchio e imploro di diventare qualcuno, di riuscire a creare qualcosa di importante, di far arrivare la mia arte in ogni cinema d’Europa, di divenire chi mi sono ripromessa di essere.
E mi ripeto: voglio farcela, voglio vincere, voglio essere quell’uno su mille, voglio costruire il mio impero, voglio essere MaryLoù, non Chiara.
Insoddisfatta, irrequieta e infelice, questo è l’unico destino per le persone come me: perché chi ci crede troppo, ci soffre troppo.
Meglio soffrirci troppo o essere intrappolati in una monotona apatia?

28 gennaio, 2018

L'amore nei film

Ho sempre sognato una di quelle relazioni che si vedono nei film.
Lui affascinante, misurato, teatrale;  lei intrigante, naturale, spontanea, sognatrice.
Sono sempre stata convinta che il vero amore fosse quello: parole al momento giusto, sguardi fulminanti, pazzie senza conseguenze.
Vivere con in sottofondo qualche bella canzone, di quelle ritmate e tristi allo stesso tempo, correre nei prati, baciarsi ovunque.
Ballare senza mai cadere o risultare goffi, fare l’amore senza dire nulla, urlarsi addosso sotto la pioggia, per poi fare pace subito dopo con un lungo bacio appassionato.
Non è forse questo che ogni regista o sceneggiatore ci fa credere come possibile?
Trovare una persona che sia esattamente la tua metà, che non ti deluda né ti ferisca, che ti faccia sempre sentire in pace con te stesso.
Ed io, l’ingenua io, l’illusa io, non riesco ad accettare la realtà.
Una realtà senza musica, in cui c’è bisogno di parlare e tanto, in cui non si corre nei prati né si litiga sotto la pioggia in un qualche campo in Provenza.
Un mondo dove le parole sono noiose, scontate, ripetitive, dove bere è essenziale per sopportare pesi troppo grandi, dove soffrire è inevitabile.
Questo è il mio più grande difetto: volere l’impossibile.
Perché nei film l’amore è perfetto, ideologico, platonico, totalizzante, folle, spontaneo,  ma nella realtà, l’amore è tutt’altro.
Nella vita vera, l’amore è impuro, goffo, sporco, inlogico, distruttivo.
E bellissimo.

L'ultimo bacio

"Mille violini suonati dal vento L'ultimo abbraccio, mia amata bambina Nel tenue ricordo di una pioggia d'argento Il senso s...

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