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06 dicembre, 2020

Beautiful boy

Ho l'umore così instabile che spesso basta solo una canzone per farmi stare giù, perché qualsiasi parola è una tua evocazione. Questa volta è stata colpa del nuovo album di Sfera, perché tutto di un colpo mi ha ricordato di quanto tu fossi fissato e di come alla fine sia riuscito a trasmettere la passione anche a me. Sei stato tra i primi a seguire la trap quando ancora tutti la sfottevano, ma te eri già oltre, guardavi al futuro: ci pensi mai a quanto tu fossi in gamba per intuire subito che quella musica avrebbe funzionato? Per riuscire a far appassionare al genere pure una noiosa borghesina come me?
A volte mi incazzo se penso a quanto potenziale hai gettato via, disperso nel buco nero che hai dentro al petto, senza renderti conto di quante cose avresti potuto fare. Eri intelligente come pochi, prendevi buoni voti senza aprire libro e non riuscivi a capire come io, che per tutti ero quella in gamba, potessi sprecare interi pomeriggi per una sola materia: in confronto a te non ero nulla.
Ci pensi mai a quanta strada avresti potuto fare se solo le cose fossero andate diversamente? Avevi una luce negli occhi che raramente si vede nella gente, quella voglia, quel fuoco di vita che ti permetteva di essere sempre pieno di energia ad ogni ora del giorno. Che fine ha fatto? Cosa è successo in quei pochi mesi per far precipitare tutto quanto? Per farti chiudere in te stesso e non chiedere aiuto a nessuno? Nemmeno a me? Avrei usato la mia stessa pelle pur di proteggerti da ogni ferita, avrei sacrificato qualsiasi cosa, qualsiasi, pur di tentare di salvarti. Avrei legato i tuoi sassi alle mie caviglie per di farti rimanere a galla, anche se avrebbe significato annegare: pur di farti respirare sarei sprofondata negli abissi.
Probabilmente ci sono cose che non capirò mai, certi meccanismi nella tua testa che nemmeno tua madre riesce a comprendere, però ci provo lo stesso, ogni giorno, perché non saperti più leggere nell'anima fa male, tanto. La nostra connessione interiore ti rendeva speciale, il capirsi con un solo sguardo o sorrisetto, fare allusioni che solo l'altro recepiva, ridere di cose che solo noi sapevamo. Ma ormai sei diventato oscuro, non riesco a vedere più nulla dentro di te e tantomeno riesco a capirti: sei diventato uno sconosciuto. Dopo anni di alti e bassi, di pianti e di silenzio per l'obbligo di mantenere il segreto su di te e sul gran casino che è la tua vita, è come se non ti conoscessi e non riuscissi più a ricordarmi com'era viverti in spensieratezza. Faccio fatica a credere che un tempo mi hai regalato anche tanta gioia, tanta forza, e che non eri ciò che sei ora, anzi, sei stato tu ad essere un punto di riferimento, una boa a cui tenermi stretta quando la marea incombeva. In fondo sto solo provando a ricambiare un favore che mi hai fatto tempo fa.
Perché le cose devono sempre diventare più complicate? Perché il destino ha voluto farti penare? Perchè hai cercato di risolvere l'enorme vuoto che hai dentro in quel modo? Perché non sono bastata io? Con tutto quello che potevo donarti? Perché mi costringi a stare male mentre ti guardo continuare a ridurti una merda, senza capire che voglio solo proteggerti e che prima o poi pagherai per le cazzate che fai?
Hai sempre nascosto tutto, cercando di non far capire quanto fossi messo male, convinto di essere in grado di gestire ogni cosa, di poter risolvere tutto quanto, come tuo solito. E invece hai fatto solo il tuo male, perché la cosa è degenerata, hai superato ogni limite e a furia nascondere la polvere sotto al tappeto, si è rovinato. A forza di continuare ad aggrapparsi, la corda si è spezzata e nulla potrà mai ripararla. E mi chiedo spesso come sarebbe stato se avessi provato a resistere, o a tirarti indietro appena la situazione si fosse fatta seria. Se avessi chiesto aiuto a me o a qualche tuo amico, se avessi provato a reagire e tornare a respirare come prima. Se non mi fossi allontanata, o se proprio non ci fossimo mai incontrati, forse le cose sarebbero diverse, forse anche io sono stata causa del tuo male. Magari invece di aiutarti ti ho dato la spinta finale. Però ho cercato di risolvere, anche se ormai era tardi, ho provato a tamponare le tue ferite, a curarti con tutto l'amore che potessi donare, ci ho provato per davvero. Ma forse ci sono cose per cui l'amore non basta.
Non posso nemmeno sperare che qualcuno ci aiuti, perché se ho capito qualcosa di tutto questo incubo è che finché non lo provi sulla tua pelle non puoi capire quanto fa male vedere una persona che ami disintegrarsi da sola. Quanto corrode cercare in ogni modo di proteggerla dai problemi, di farle da scudo per ogni pugnalata, senza rendersi conto che è inutile perché la lama è abbastanza lunga da uccidere entrambi. Quanto è nauseante vedere il ragazzo che hai protetto e amato per una vita intera zoppicare da solo per il centro della città con in mano una bottiglietta per inalare la roba, il viso pallido e sudato e gli occhi scuri come abissi, diventando piano piano un cadavere che cammina. Un fantasma. Quanto ti distrugge vedere uno sconosciuto davanti a te, un corpo che non ha più vita, non ha più un'anima. Un corpo che non ha più amore e tantomeno è in grado di darne.
Quanto è difficile aiutare qualcuno che non vuole il tuo aiuto? Salvare qualcuno che non può essere salvato, né tantomeno vuole? Non auguro a nessuno di innamorarsi di un essere umano che si è totalmente perso in se stesso, nel labirinto del proprio lato oscuro e non ha intenzione di provare ad uscirne. Perché fa male. 
Sai, l'altra sera ho riguardato "Beautiful boy" e come sempre mi ha fatto pensare a te. Questa estate ho pure letto il libro per saperne di più: volevo capire il tuo mondo, perché fai quello che fai, cosa ti porta a perderti. Ho letto il monologo del padre di Nick e ho pianto parecchio, più del solito, perché ti descriveva alla perfezione. Eri tu, chiaro e limpido, e ti ho riconosciuto. Ho pianto per questo: perché sei uguale a Nick. Sei identico a quel bambino magrolino e con i ricci scuri che piano piano cresce, e con lui i suoi mostri. E allora non posso fare altro che disperarmi e farmi le stesse domande di suo padre: Ma che fine ha fatto il mio bellissimo ragazzo? Quel giovane, forte e brillante ragazzo? Quel speciale, unico e geniale ragazzo? Quel energico, intelligente e spiritoso ragazzo? Quel talentuoso, carismatico ed eternamente bellissimo ragazzo? Quell'anima pura di ragazzo? Dove è finito? Chi ho davanti? 

09 settembre, 2020

Addio

Tra poco le scuole riapriranno e pensavo a quante cose ho visto e vissuto al liceo e mi fa strano non poterci tornare più, non poter più rivivere certe emozioni, non fare più parte di quel mondo che vuoi o non vuoi, è stato la mia vita per tanto tempo. Forse non ero ancora pronta a dire addio a un luogo che ha segnato tutti i momenti più importanti della mia vita e non ero pronta a voltargli le spalle così, senza poterlo rivedere un'ultima volta e cambiare pagina come si deve. Forse rimango troppo attaccata al passato ed è sempre un trauma sopportare i grandi cambiamenti.
Non rivedrò più quelle pareti vecchie e grigie che, silenziosamente, mi hanno visto crescere, tra risate e lacrime, godendosi quelli che probabilmente sono stati gli anni migliori della mia vita, senza che me ne accorgessi. Non so perché tutte le grandi amicizie e soprattutto i grandi amori io li abbia incontrati proprio a scuola, ma così è stato, legandomi per sempre a quel posto.
È che non riesco ad accettare l'idea di non entrare mai più nell'aula 135, prima classe del primo giorno del primo anno, quando eravamo ancora tutti ingenui e speranzosi verso il futuro; quando passavamo il tempo a guardare i ragazzi più grandi passare in corridoio invece che studiare e i problemi nemmeno ci sfioravano. Oppure nella 45, quella di storia dell'arte, ultima aula dell'ultimo giorno dell'ultimo anno, anche se ancora non sapevamo che sarebbe stata l'ultima. Se ci si pensa è assurdo vivere per l'ultima volta determinate sensazioni senza esserne consapevoli, rimanendo con l'amaro in bocca perché avresti voluto vivertele diversamente. 
Mi mancherà infinitamente bere il cappuccino con cioccolato della macchinetta del terzo piano, il più buono del mondo, e chiacchierare con Lorenzo delle nostre mattinate mentre ci dividiamo qualche biscotto. Passare il tempo nell'angolino vicino alle scale di emergenza, mangiare e parlare di stronzate che forse poi così stronzate non erano. Dio, quanto mi dispiace non averlo salutato come si deve, perché se lo meritava: è stato la mia roccia in questi ultimi anni d'inferno, e mi dispiace non avergli mai spiegato quanto lui sia stato importante per me e quanto si meriti dalla vita. Perché persone così belle sono rare e io gli voglio un bene dell'anima.
È strana l'idea di non poter più vivere un intervallo con le mie amiche di sempre, a lamentarci per qualche verifica o interrogazione o a scherzare sui primini. Non sentire più l'ansia per una valutazione e innervosirsi per qualche brutto voto, o bigiare al bar in centro pur di saltare un ennesimo giorno in quell'inferno. Non fare più le code chilometriche al bagno o al bar per prendere una di quelle focacce ripiene che mi piacevano tanto. Non fare più parte di una routine con cui ho convissuto fin da bambina e a cui, in qualche modo, ero affezionata.
E mi dispiace non poter passare più i pomeriggi nelle palestre a guardare i tornei di calcio dei miei amici, quando ancora parlavo con S. e gli altri, per poi rimanere con loro sul muretto dell'uscita a piano terra a fumare e scherzare tra di noi. Sono passati anni eppure li reputo tra i momenti migliori della mia vita: erano situazioni semplici ma che mi facevano stare bene veramente, forse perché ero con le persone giuste. Forse perché ce ne era una in particolare di persona giusta. Che peccato vedere come sono andate a finire le cose, che peccato sapere che non parlo più con nessuno di loro e ognuno ormai ha preso la propria strada, e qualcuno si è pure perso. Che peccato non poter salvare tutti.
Mi manca appoggiarmi alla ringhiera del secondo piano con Giorgia, che anni fa era la mia migliore amica, ma ormai è passato talmente tanto tempo da non sembrare vero. Tutte le ore passate a parlare dei nostri amori e guardarli di nascosto dall'altra parte delle scale, gli stratagemmi per incontrarli e i pomeriggi spesi a parlare solo di loro: eravamo così piccole e bastava quello per poter pensare che la nostra amicizia sarebbe durata a lungo. Per pensare di non potersi dimenticare a vicenda. Quanto è brutto perdere le persone per strada? Eppure è inevitabile, capita a tutti, ma non significa faccia meno male.
Ed è strano pensare che non litigherò mai più con Marti nei corridoi, quando mi divertivo a prendermela per stronzate senza rendermi conto di perderlo piano piano. Probabilmente non ci parlerò nemmeno più, per colpa della mia convinzione di poter avere sempre il tempo di fare tutto, di poter sempre risolvere con calma ogni situazione; ma anche se mi costa dirlo, è stata importante la sua presenza in questi ultimi due anni ed è stato una distrazione fondamentale in momenti difficili, quindi non posso che essergliene grata.
Mi rifiuto di non poter dire addio all'aula 131, la mia preferita, dove ho conosciuto P., l'unica persona che mi abbia fatto innamorare per davvero. L'unica per cui dovrei ringraziare questa scuola, avendoci fatto incontrare. È bastato un cambio d'ora qualunque, un astuccio smarrito e boom, ho incrociato quel paio di occhi che mi hanno cambiato la vita per sempre. Quel "hai bisogno di aiuto a cercarlo?" mentre gli altri se ne fregavano, quel sorrisetto, quell'occhiolino, giuro che non li scorderò mai. Nemmeno tra cinquant'anni, nemmeno da morta. Quella classe è stato l'inizio di tutto e Dio solo sa quanto pagherei per poter tornare indietro nel tempo e rivivere quel giorno da capo. Quanto mi manca sentirmi così, vivere di purezza e innocenza, emozionarsi ancora per un semplice incontro con la persona giusta. Quanto mi manca lui, dopo tutto questo tempo, perché è sempre rimasto il solo e unico.
Non voglio dire addio nemmeno all'angolo calorifero del terzo piano, quello dove ho pianto quella volta in cui in quarta ho preso uno in diritto e due ragazzini di prima mi hanno consolato, inteneriti dalla scena. Mi viene da ridere a pensare a quella giornata, che sembrava tanto disastrosa e invece ormai è diventata una barzelletta su cui scherzo spesso: è così che ho capito che il tempo non cambia le cose, ma cambia il modo in cui le vediamo.
Che poi è lo stesso angolino in cui bevevo il thè con Lorenzo mentre punzecchiavamo Tino nella pausa tra la quarta e la quinta ora, lo stesso in cui anni prima P. mi lanciava mille occhiolini e io mi elettrizzavo. Quello dove ripassavo sempre con Marghe e Fra prima delle verifiche, e ci si sfotteva a vicenda e si pregava che andasse tutto bene; dove spettegolavamo e ridevamo come pazze per qualche mia stronzata. Mi fa piangere l'idea di non vivere più certi momenti tra noi tre, perché eravamo legatissime e certe cose non si dimenticano, anche se allontanarsi è inevitabile e ne sono tristemente consapevole.
E poi le scale. Dio, le scale tra il secondo e il terzo piano: quelle sono uniche, speciali, e hanno il mio cuore. La prima volta che ho visto P. a scuola mi trovavo proprio lì, e non riuscivo davvero a credere che lui potesse trovarsi esattamente davanti a me. Dopo mesi passati a fantasticare su di lui per il nostro primo incontro in una sera d'estate, avevo avuto la fortuna di ritrovarmelo a scuola grazie alla sua poca voglia di studiare. Quasi non ci credevo, era una fortuna troppo grande per essere capitata a me. Eppure la sensazione delle mie gambe che tremano sugli scalini mentre lo guardo salutare gli amici ce l'ho ancora ben stampata nella memoria, nonostante gli anni. Il batticuore, lo stupore, l'adrenalina, li sento nel petto ancora adesso: che tristezza pensare che in quel momento ero totalmente ignara del dolore che avrei provato in futuro a causa sua.
Quelle scale hanno visto anche il primo incontro tra me e Chetra dopo tanti anni senza vederci e penso che questo basti per far capire quanto ci sono legata. Una mattina di maggio qualunque, io di fretta e lui rilassato come sempre, eppure sono entrata in ritardo in classe pur di rimanere a parlare, talmente ero felice di rivederlo, talmente mi brillavano gli occhi dall'emozione. Lui è uno dei motivi più grandi per cui non voglio cambiare pagina: ho paura di dimenticarlo, di dimenticare i nostri momenti insieme in quella scuola. Ho paura che non vedendo più certi luoghi, io possa perdere quella manciata di pochi ricordi che ancora conservo nella stanza più preziosa della mia mente.
Che poi sono le stesse scale in cui ho aspettato di entrare nell'aula del mio orale di maturità, mentre tremavo tutta e ripassavo disperatamente cittadinanza con Marghe, che è stata così santa da accompagnarmi. Mi piace pensare di aver concluso ufficialmente il liceo proprio lì, nel posto più importante di tutti: è come se nel mio piccolo, io sia riuscita a chiudere il cerchio. Ha reso quel momento molto più significativo, anche se più doloroso, perché le due persone più importanti che ho incontrato in quella scuola le ho incontrate proprio su quelle scale e fa male non averle avute al mio fianco in un giorno come quello. Una che non mi parla più per scelta, l'altra che non ha potuto nemmeno scegliere.
Non sono pronta a dire addio a tante cose, forse troppe, e probabilmente non lo sarò mai. Non è facile voltare le spalle a qualcosa che è stato la tua vita per tanto tempo, tantomeno dire addio alle persone e ai ricordi che abbiamo di loro. Non è facile accettare che il tempo passa e non si può far altro che corrergli dietro, nonostante il continuo affanno.
Ciò che forse mi pesa più di tutto però, è non salutare come si deve la mia fantastica ed immensa 5SB. Ne abbiamo viste di tutti i colori, cazzo. Siamo partite in prima che eravamo quasi una trentina e ormai siamo poco più di quindici, stanche e amareggiate da una scuola che non ha saputo motivarci abbastanza. Però questo è stato anche il nostro segreto: le delusioni ci hanno unito, ci hanno portato ad aiutarci a vicenda, stringendo un legame che non è così frequente nelle altre classi.
Siamo state una grande classe, la migliore di tutti i tempi. Abbiamo saltato gite, progetti, alternanze, incontri e tutto ciò che degli adolescenti possano desiderare, e siamo rimaste fregate e deluse un sacco di volte e ognuna di noi ha pensato di mollare almeno una volta. E alcune lo hanno fatto. Ma non noi, che siamo rimaste fino al quinto anno in questo carcere di scuola, nonostante la tentazione di abbandonare tutto e tutti. Abbiamo resistito perché abbiamo fatto gruppo, e anche se forse spesso non ce ne siamo rese conto, abbiamo alleggerito il peso di quel posto.
Voglio bene a tutte. Dalla prima all'ultima. Anche con quelle con cui ho legato poco nulla durante questi anni, o quelle con cui ho litigato e ho giurato solennemente di non volerle vedere mai più in vita mia. Abbraccerei tutte, anche se non l'ho detto mai e mai avrei pensato di farlo. Voglio un bene dell'anima ad ognuna di voi e non poteva capitare gruppo migliore di questo.
Ho in cuore rotto in mille frammenti, quasi polvere, a pensare che non ci ritroveremo mai più la mattina poco prima delle otto, sul muretto sotto il nostro amato albero, a fumare tutte insieme e insultarci un po'. A urlarci parolacce, spintonarci e ridere come stupide, risultando quasi fuori luogo tra i musi lunghi della mattina presto. Dovremmo metterci una targhetta, sotto quell'albero, perché ormai è nostro e nessun'altra classe potrà mai anche solo avvicinarsi a ciò che siamo state noi: quel ritrovarsi ogni mattina prima di scuola dimostra quanto eravamo unite e quanti bei ricordi abbiamo insieme. E me lo poterò dietro fino alla morte.
Mi mancherà non poter stare a lezione con voi, avervi tutte vicine, mentre ascoltiamo qualche discorso noioso che non avremo voglia di studiare. Spintonarmi con Anzu durante le lezioni di inglese con i banchi con le rotelle, insultarmi a vicenda con Bea e Fra, commentare con Pilu il professore che ci piaceva tanto, spettegolare con il gruppo della Valle. Sfottere tutte insieme la Colombo e le sue etichette dimenticate sui vestiti, lamentarci dell'Erasmus, fare le sceme durante le lezioni di diritto e le stonature dei karaoke delle feste di Natale.
È così ingiusto non poter dire addio a tutto questo, il mio cuore ne ha bisogno. Anche solo una piccola singola ora, per poter stringere tutti quanti e correre un'ultima volta al terzo piano, dove ho troppi ricordi per poter davvero riuscire a lasciarli andare. Amo tutto. Amo tutti. Vorrei vedervi un'ultima volta, in circostante normali, e dirlo guardandovi negli occhi. Vi porterò dietro tutta la vita, la scuola rimarrà per sempre una porta socchiusa, con la chiave per chiuderla smarrita chissà dove. Sarà un cerchio che non si concluderà mai, come quando muore una persona cara e non riesci ad andare al funerale, o non riesci a piangerla come si deve, e allora te a porti dietro per sempre, quasi come un peso, perché non riesci a staccartene. Perché non gli hai mai detto addio.
Spesso mi chiedo cosa succederà dopo la maturità, se ci rivedremo ancora, se rimarremo legate, oppure se nel giro di poco non ci saluteremo nemmeno più per strada. Probabilmente molte di noi si perderanno di vista, ma in fondo è normale, è così che deve andare, sarebbe strano il contrario. Però mi dispiace, perché dovevamo vivere il nostro ultimo giorno di scuola come si deve e riuscire a salutarci, per poi litigare come fanno tutte le altre classi a fine quinta. Ma non importa, ce la siamo cavata comunque, anche se chiuse in casa senza poterci vedere: siamo state perfette anche in quello.
Forse non ci vedremo più. Ognuna prenderà la propria strada e non si guarderà più indietro. Forse arriveremo ad odiarci. Forse semplicemente ci dimenticheremo ognuna dell'altra. Ma non mi importa, non rimangio quello che ho detto fino ad ora. Al di là del finale, importa il nostro cammino. Ed è stato fantastico cazzo.

17 maggio, 2020

Uno

17/05/2020
Un anno. 
Non è questo il tipo di anniversario che vorrei festeggiare in una notte d'estate. Spero che tra le stelle che illuminano il cielo stasera ci sia tu, che mi guardi piangere per te.
Ho bisogno di sapere che sei rimasto al mio fianco, che mi proteggi da lassù.

"La donna cannone" di Francesco De Gregori

"Con le mani amore, con le mani di prenderò e senza dire parole nel mio cuore ti porterò..."


29 marzo, 2020

Confine

“Il valore delle cose lo si capisce solo quando le si perdono”

Ormai è giorni che sono chiusa in casa in isolamento e mai come ora sto capendo l’importanza delle piccole cose, quelle che di solito diamo tanto per scontato e che mai penseremmo che ci potrebbero essere tolte. Di quei piccoli dettagli che sembrano insignificanti e che invece sono proprio quelli a dare senso alle nostre esistenze, perché le rendono uniche: come i quadri d’autore e le loro anonime riproduzioni.
Mi manca uscire di casa quando voglio, respirare aria fresca e camminare per un po’ sul lungolago, osservando le piccole barche che tagliano l’acqua, godendomi l’aria fresca e pungente mentre ascolto Mystery of love di Sufjan Stevens nelle cuffiette. Mi manca passare i pomeriggi al barettino in centro con Maria, sorseggiando aperitivi e divorando la salsina piccante che tanto amiamo, spettegolando del mondo. Mi manca fumare sulle scale del quinto piano di casa di Marghe, durante i nostri flussi di pensieri filosofici condivisi, o lamentarmi delle piccolezze con Fede, mentre passeggiamo per ore senza mai avere una meta.
Sono stanca di passare le ore in totale tensione, in equilibrio su una fune tesa tra una valle infuocata, mentre continuo ad aggiornarmi sui vari giornali online sulla situazione in Italia, temendo il crollo degli ospedali, delle borse europee, della mia mente. Ho i nervi distrutti dalla pressione che mi getto addosso da sola e mi domando per quanto tempo sarò ancora in grado di resistere: i numeri mi mettono angoscia, e così anche i muri di questa casa, che quasi sembrano intrappolarmi in una voragine di claustrofobia. 
Mi manca la scuola. Mai nella vita avrei lontanamente pensato che un posto di merda come quello potesse provocarmi della nostalgia. Però mi manca prepararmi di fretta la mattina e correre verso l’albero davanti all’entrata di scuola e ritrovarmi con tutte le mie compagne di classe a fumare mezza sigaretta prima di affrontare cinque ore di inferno. Mi manca ridere e scherzare con loro mentre ci tiriamo pezzi di carta addosso, o dormire nelle lezioni noiose, o litigare per chi per prima andrà in bagno nell’ora di diritto. È che pensavo di provare queste cose a maturità finita, quando ci si saluta con la consapevolezza di non rivedersi mai più, non ora, non in questa situazione surreale e disastrosa, non così. 
Non immaginavo di ritrovarmi senza le persone, le abitudini e i luoghi che ho sempre dato per scontato, fin da quando solo nata: non ho mai dubitato di essere fortunata, di trovarmi dalla parte giusta del mondo, ma non sapevo come ci si sentisse a non esserlo. Non sapevo come fosse vivere con l’incertezza, la paranoia, il tremore continuo di non sapere cosa accadrà.
Mi manca passare l’intervallo davanti alle macchinette con Lorenzo, ore e ore perse a chiacchierare di cazzate, e ascoltare le voci estranee degli altri, guardando mille occhi di infinite sfumature diverse. Mi manca litigare con l'idiota nei corridoi, mandarlo a quel paese e tenergli in broncio per giorni interi, senza rendermi conto che se mi incazzo sempre così tanto, evidentemente è perché gli voglio un bene sconsiderato, anche se non voglio ammetterlo. E poi la campanella dell’ultima ora, la leggerezza di una mattinata appena finita, e i pettegolezzi infiniti con Marghe e Franci, prima di attraversare sulla strada senza strisce e prendere di corsa il pullman per tornare a casa.
Mi manca il colore del cielo senza nuvole in primavera, o dei fiori del giardino sotto casa, con quell’odore dolce e intenso di chi non ha peccato, o dell’asfalto grigio attraversato da quei veicoli tipici di ogni città trafficata e a cui mai avrei pensato di affezionarmi. Mi manca poter vedere le diverse variazioni cromatiche delle pelli della gente, che parlano e ridono insieme simultaneamente, che si guardano e si sfiorano, senza sapere quanto sono fortunate a poterlo fare.
Mi sono sempre lamentata di un sacco di cose, e proprio ora che non le ho, capisco il loro valore, e la fortuna che ho avuto nel possederle. Quanto è importante toccare le persone che amiamo? Come quando ci si ammala e ci si rende conto di quanto sia preziosa la salute, ma appena guariamo già ce ne siamo dimenticati.
Non mi piace questa situazione. Non mi piace questo virus. Non mi piace la mia testa quando è messa così tanto sotto pressione. Non mi piace come ragiona la gente, troppo egoista per pensare anche al bene degli altri, oltre a quello personale. Non mi piace avere paura. È come stare in apnea in un abisso oscuro, senza sapere se riuscirò mai a raggiungere la superficie.
Ho paura che tutto degeneri. Ho paura per la mia famiglia e per i miei amici, di doverli vedere morire come animali senza che abbiano potuto a ricevere visite, per colpa di gente che non è riuscita a rinunciare ad una domenica sugli sci. Per colpa di un’intera classe politica e di evasori fiscali che hanno reso la sanità pubblica italiana un mucchietto di briciole, nonostante il suo potenziale, e che ora si incolpano a vicenda invece che trovare una soluzione.
La verità è che non posso fare altro che affidarmi al fato, al destino, e sperare con tutta l’anima marcia che ho, che non succeda nulla, che non si arrivi a dover fare delle scelte per le cure, che non debba vedere mio padre scartato, magari per eccesso di un anno o di una pastiglia, e abbandonato dallo stesso Stato che giura di proteggerci, di farci da armatura. Che il mio cuore non si rompa in infiniti frammenti solo per una questione di statistica, di numeri.
Ho paura per te, che non so nemmeno dove sei e con chi, cosa ne pensi di tutto questo disastro, come ha reagito la tua testa davanti alle notizie, se sei ancora stabile oppure le paranoie ti hanno già imprigionato. Se qualcuno a cui vuoi bene è in pericolo o se invece sei tranquillo e senza pensieri, se ti stai proteggendo oppure te ne freghi e continui a uscire di casa con i tuoi amici. Ho paura perché so che sei piccolo e indifeso, e non oso immaginare come stai messo, in che condizioni di salute sei, dopo tutte le cose di cui ti sei fatto in questi anni. Non so nemmeno se avresti le forze di affrontarlo, un virus così, ridotto come sei, perso in ombre che forse nessuno può capire, nemmeno te.
Ho paura che tu abbia paura, perché mi uccide l’idea della tua sofferenza. E ho paura per me, perché per quanto io sia giovane, non sono così sicura di essere esente da questa ombra oscura. O che tu lo sia.
E mi fa paura morire. Per mille ragioni. Mi fa paura non averti salutato, P., un piccolo ultimo cenno prima di non vederti più. Non averti detto tutto ciò che sento. Tutto ciò che mi è successo, da quando abbiamo smesso di parlarci.
Forse è questo il problema, l’origine del mio malessere, della mia angoscia. Non il morire, ma morire senza te che mi tieni la mano. Senza i tuoi grandi occhioni scuri che mi rassicurano, anche se hanno visto più demoni dei miei. Senza il mio Xanax.
Eternamente tua,
En.

12 gennaio, 2020

En e Xanax

Caro P.,
È un periodo che mi manchi da morire. Non so dirti il perché, visto che non ti vedo da talmente tanto tempo da non essere nemmeno più sicura che abiti ancora a Lecco. Non so perché continuo a pensarti dopo tutto questo tempo, nonostante tutte le nuove persone che ho conosciuto e tutti i cambiamenti che ho fatto. Non so perché continuo a cercarti così insistentemente senza un motivo logico. Forse perché tutte le lucciole tornano alla loro siepe nei giorni freddi, ed io mi sento così sola da avere il gelo nelle ossa e non ho bisogno di nient’altro se non delle tue braccia calde che mi fanno da riparo.
Inizio a pensare che passerò la vita innamorata di te e non permetterò mai a nessun altro di prendere il tuo posto. Ho paura di averti dato così tanto da non avere più niente da offrire agli altri, come se a furia di non ricevere mai nulla indietro io mi sia svuotata. Forse dovrei smettere di ascoltare solo la musica che ti piaceva nel disperato tentativo di capire cosa pensi, cosa provi, e dovrei iniziare a seguire ciò che mi fa sentire bene. Ma ormai è così tanto tempo che ti custodisco dentro al mio piccolo cuore di ghiaccio che credo non ci sia differenza tra cosa piace a te e cosa a me. È come se la mia mente fosse solo un’estensione della tua, senza la quale io nemmeno esisterei. Come se fossi aggrappata al tuo treno, che viaggia sempre veloce e senza destinazione, non avendo nessun potere su di esso, e se decidessi di fermarti, io mi fermerei con te.
È che ogni tanto vorrei solo avere tue notizie, dopo tutto questo tempo, sapere se stai bene o se sei nella merda fino al collo, come tuo solito. Sapere se ci sono momenti in cui ti senti perso anche tu e le paranoie ti divorano l’anima, e magari un po’ ti sei pentito di essertene andato; o se invece ora tutto va per il meglio e non hai più bisogno delle persone che avevi prima. Pensa, ci tengo così tanto che spero profondamente nella seconda opzione, perché tutto ciò che voglio è vederti felice, non importa se questo significa non essere nella tua vita.
Però vorrei dirti un sacco di cose. Vorrei raccontarti cosa mi è successo in questi due anni di silenzio tra noi, farti mille domande e poi ascoltare le risposte per ore. Vorrei spiegarti come mi sono sentita sola a volte, quando uscivo da scuola e tu non eri più al cancello ad aspettarmi per rubarmi una Camel: Dio, non ti immagini nemmeno per quanto tempo ne ho tenute due in mano, con l’amara illusione che tu potessi apparire da un momento all’altro e volerne una. Quando le giornate andavano tutte storte e avevo bisogno di un tuo mezzo occhiolino o di uno dei tuoi soprannomi improbabili per sentirmi meglio. Quando la mattina non volevo più alzarmi dal letto, perché senza te a scuola non avevo più un motivo per farlo, e ormai la voglia di fare qualsiasi cosa se ne era andata.
Siamo così stupidi a volte: perché litigare e farsi del male quando ci si ama? Perché smettere di parlarsi solo per dei capricci, per pigrizia? Perché sprechiamo così tanto tempo a soffrire per una passata manciata di secondi di felicità? Penso che sia assurdo che tu non ne abbia più voluto sapere di me per dei malintesi del cazzo che non mi hai mai fatto nemmeno spiegare. Per dei pettegolezzi che non erano veri, per delle cose che non ho mai fatto e mai detto, per delle mancanze di rispetto che non ho avuto. Fondamentalmente, dopo più di due anni, io non so ancora il vero motivo per cui ce l’hai a morte con me. Non so nemmeno perché non ci parliamo più. Non so neanche se esiste, un motivo.
Ma ti rendi conto che inizio a far fatica a ricordare il tuo viso? Ti sembra giusto? Non lo vedo da così tanto tempo che il ricordo sta svanendo poco a poco. È assurdo dimenticarsi il volto della persona che si ama, è una tortura che corrode il cuore piano piano. È come dimenticare se stessi.
I grandi occhioni tondi che mi hanno incantato la prima volta che ci siamo visti si stanno annebbiando sempre di più nella mia memoria, e quasi fatico a ricordare di che tipo di castano siano fatti. Non sono neanche più sicura di quanto fossero morbidi i tuoi ricci, talmente i ricordi si stanno confondendo, o quanto fosse pura e spontanea la tua risata, quando nasceva per una mia battuta. Quanto eri bello quando sorridevi per me?
Mi hai fatto soffrire così tanto in questi anni, trasformandomi in un uragano sempre pronto a distruggere chiunque si avvicinasse. Sono sempre stata così concentrata su di te da trascurare il resto, e spesso me ne sono pentita, perché ho perso amici che per me hanno sacrificato tanto, e mi volevano bene. Ma io non ho mai sopportato chi cercava di allontanarmi dal tuo ricordo, e così mi sono chiusa in me stessa e nella mia malinconia di ciò che è stato.
Non so nemmeno più come fa a mancarmi, una persona che ormai non conosco più. Che ormai non è più parte della mia vita. Che se ne è andata e non si è mai voltata indietro, nemmeno una volta. Perché P., sei stato così stronzo che non ci hai mai ripensato, non hai tentennato nemmeno un secondo quando hai dovuto prendere le tue decisioni. Possibile che non valevo nemmeno un dubbio?
Eppure giuro che nonostante tutto, potessi tornare indietro, in quel McDonalds ci tornerei altre infinite volte. Non importa le conseguenze che hai portato, il dolore immenso che ho provato e le innumerevoli lacrime che ho versato. Rifarei tutto quanto. Ogni singola piccola cosa. Rivivrei tutto. Nessuno è mai stato come te. Non ho mai guardato nessun altro, nel modo in cui guardavo te. Nessuno riesce a farmi svegliare mezz’ora prima la mattina, nonostante tutti sappiano quanto io sia poco mattiniera, col sorriso stampato il faccia e piena di energia, solo all’idea di vederti: più di un’ora ogni giorno a prepararmi, truccandomi meglio che potevo e facendomi i boccoli, perché volevo sempre essere perfetta per te. Nessuno mi fa trovare la voglia di stare in giro per pomeriggi interi, anche in pieno inverno, solo per riuscire a trascorrere qualche minuto in più insieme. Però per te lo facevo, perché mi piaceva aspettare fuori da scuola che finissi le ripetizioni o le partite di calcio, mi faceva stare bene. Ero felice di fare qualsiasi sacrificio ti riguardasse perché non mi pesava, come se la tua magia facesse diventare piacevole qualsiasi scocciatura. Solo tu ne eri capace.
Nessuno mi ha mai toccato così tanto il cuore da continuare a scrivere su di lui, pagine su pagine, messaggi su messaggi, libri su libri. Nessuno mi ha mai colpito così tanto da impazzire totalmente, violando ogni regola o abitudine solo per lui. Nessuno è mai riuscito a farmi sentire viva, ma viva per davvero, nonostante i momenti difficili. Nessuno è come te.
Ti amo dal 22 agosto 2016 e non ne ho mai dubitato nemmeno per un giorno, nonostante tutti i problemi, tutti i pianti isterici e le litigate finite col mettersi le mani addosso nel mezzo delle discoteche. Anche con le incazzature degli ultimi mesi, con quel paio di cattiverie che mi porto ancora dietro, che hanno creato delle crepe irreparabili tra di noi. Neanche se S. ha incasinato tutto quanto, perché so che ho sbagliato e quel bacio ha mandato tutto a puttane e credo che non me lo perdoneró mai. Neppure con quella telefonata in piena notte di un paio di estati fa, in cui ho urlato le peggiori parole, ferendoti senza nemmeno accorgermene. Nonostante senza di te io mi senta sempre così sola, e tutti gli altri non mi sembrino abbastanza, imprigionandomi in queste catene che non mi permettono di muovermi.
Eppure è come se non mi importasse. Non mi è mai lontanamente passato per la mente che tu potessi non essere il grande amore della mia vita: sono passati tre anni e mezzo e non ho cambiato idea. Non ho mai avuto dubbi nonostante tu mi abbia abbandonata in sto posto di merda senza mai provare a risolvere, comportandoti da stronzo.
Ma cosa devo fare più di così? Quante lettere a vuoto dovrò ancora scrivere? Quante volte dovrò urlare il tuo nome nella speranza di ritrovarti? Quanti momenti di ansia dovrò ancora superare prima di poter riavere uno dei tuoi abbracci? Quanto tempo passerà prima che potremo guardarci negli occhi di nuovo? Quanto aspetterò prima di tornare a sentirmi felice come lo ero con te?
Con tutto l’amore che una ragazza con il cuore spezzato può offrirti, nonostante il tuo perenne odio nei miei confronti.
Io sono ancora qui, pronta ad offrirti tutte le Camel alla menta che vuoi,

Chiara

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